Arte del ‘600
Per comprendere l’arte di questo periodo, fatta di ombre e di luci, di squarci fantastici e deliranti come di approcci, di tipo scientifico orientati alla visione della realtà, è necessario dare uno sguardo alla condizione socio-politica del tempo. Il 1600, che è considerato il secolo del Barocco, si apre con il supplizio di Giordano Bruno. Si manifesta una crisi economico-sociale proprio a partire dai primi decenni del 1600 in tutti i paesi dell’Europa Occidentale, per cui si acuisce la differenza tra quei paesi in cui si assiste ad un ritorno ad una economia di tipo agricolo, come l’Italia, e quelli in cui invece cominciano a svilupparsi sistemi basati sul commercio, come Francia e Olanda.
La prima metà del 1600 in Europa, è caratterizzata storicamente dalla predominanza delle case d’Asburgo di Spagna e d’Austria. Nel 1659, la pace dei Pirenei conclusa tra Filippo di Spagna con la Francia, segna la fine della supremazia Asburgica in Europa. Dopo, politicamente la situazione volgerà a favore della Francia e si imporrà la supremazia assolutistica di Luigi XIV, che è già Re nel 1643, e che assumerà il governo della Francia nel 1661. L’Italia che, per tutto il Seicento era rimasta al centro della cultura europea, nel Settecento cederà tale predominio alle grandi corti d’Europa, e la Francia assumerà un ruolo principale.
Può definirsi “barocca” l’arte che inizia alla fine del 1500 e che si sviluppa fino agli inizi del 1700. Ovviamente, gli spunti sono molteplici, e l’arte ne accoglie le varianti arricchendosi di varie sfumature espressive. Pertanto possiamo distinguere all’interno di una unica matrice, alcune principali correnti come: quella relativa alla cosiddetta “pittura di genere”, di stampo pittorico-naturalista; quella classicistica, come ad es. quella che si sviluppa a Versailles, e quella molto più orientata ad una ricerca sociale e veristica. Ma andiamo con ordine. Nel Seicento l’arte è fortemente condizionata dalla Chiesa, che comunque anche nel Settecento rimane una dei massimi committenti delle opere d’arte che usa per affascinare e convincere i fedeli.
L’osservatore deve essere stimolato e coinvolto, e all’artista viene concesso a tal fine di esprimersi in forme libere, aperte e variamente articolate pur di raggiungere l’obbiettivo. L’arte è lo strumento di propaganda religiosa più importante e pertanto assume caratteristiche di popolarità, realisticità e monumentalità decorativa. In alcuni casi è anche “convenzionale”, dal momento che i vari repertori iconografici, proposti dalla Controriforma, mirano a stabilire le modalità di rappresentazione della scene sacre.
Trionfa il Barocco che però non si deve immaginare come limitato ad esprimere l’arte della Chiesa, ma bensì anche interprete di altri fermenti culturali. Il termine riunisce infatti come accennato tendenze anche molto diverse tra loro come, ad es. il classicismo della corte di Luigi XIV, il realismo della pittura di Rembrandt o Vermeer o ancora la pittura di Caravaggio. Espressione delle inquietudini politiche e dei drammatici contrasti religiosi del suo tempo, il Barocco esprime l’ansia di soluzioni sempre nuove, proprie di una società che ha perduto molte certezze, e in cui la concezione rinascimentale dell’uomo centro dell’universo è da ritenersi superata.
I protagonisti sono dei grandi nomi della storia dell’arte. Spicca infatti ad esempio, il Bernini, che seppe coniugare magistralmente l’attività di scultore, con quella di architetto e scenografo. Egli, non rinnega la tradizione rinascimentale, della quale accoglie il classico equilibrio, ma infonde attraverso una nuova sensibilità verso le forme, un gusto particolarmente scenografico e spettacolare alle sue opere, nell’esaltazione della componente del movimento, che si traduce come in un soffio di vitalità alla materia inerte, per farla diventare viva. Per citare qualcuna delle sue note sculture, “Il ratto di Proserpina”, il “David” e “Apollo e Dafne”.
La pittura del 1600, vede lo svilupparsi di una corrente artistica mirante al recupero di una naturalezza, e di una efficacia comunicativa legata al disegno dal vero e al ripensamento delle opere dei maestri del 1500. Sono i Carracci, che fondano la cosiddetta Accademia degli incamminati. Bollati come “eclettici” i Carracci, sono stati poi rivalutati dalla critica contemporanea. Spicca soprattutto la figura di Annibale; con lui si supera quella impostazione iniziale che vedeva preponderanti le motivazioni a carattere religioso e si apre una nuova strada per la pittura decorativa.
Nelle prime opere bolognesi – come ad es. “La Macelleria”-, non vi è traccia di compiacimento per i particolari, ma ricerca di possibilità di rappresentazione oggettiva. Carracci riesce a fondere, una certa impostazione di stampo “pittorico-naturalista” lombardo, veneto ed emiliano, al carattere aulico e classico derivante dalla tradizione decorativa Romana. Si serve della mimesi, ma non come mera imitazione, ma piuttosto come spunto per liberare la fantasia nell’evocare le forme. Una delle opere più note è quella che lo vede impegnato nella realizzazione, a Roma alla fine del 1500, della Galleria di Palazzo Farnese, dove si ispira alle Metamorfosi di Ovidio. Si tratta del trionfo di Bacco e Arianna, che sono attorniati da coppie altrettanto mitologiche e racconti aventi come tema centrale, l’amore. Per dipingere questi affreschi pensa all’opera di Michelangelo e di Raffaello. Rivede e rivaluta l’arte della cultura classica e del Rinascimento. La sua interpretazione naturalistica è disinvolta, mescola elementi veneti, con quelli romani e emiliani, e non mancano i riferimenti a figurazioni allegoriche e agli stemmi dei Farnese. Nel 1602, realizza la lunetta, “La fuga in Egitto”: qui, si nota che l’elemento naturalistico non è solo sfondo, ma in un certo senso prevale sul tema narrativo. L’evento religioso si lega alla rappresentazione della natura, e il sentimento religioso appartiene ad essa, in armoniosa sintesi che lega l’uomo a Dio, attraverso la natura, che è umana, che è divina nel suo vario manifestarsi sulla terra. Carracci fece scuola.
Molti pittori nel 1600 si ispirarono al suo linguaggio. Ad esempio Guido Reni, di cui ricordiamo il noto “Atalanta e Ippomene”, del 1620, dove l’armonia delle forme e degli atteggiamenti comunicano un senso di grazia pervasa da atteggiamenti patetici, quasi distaccata dalla dimensione reale. Il contrasto che deriva dal colore scuro dello sfondo e della luce che pervade le figure con tutti i toni intermedi, eleggono quest’opera a capolavoro della visione artistica di Reni, che si conferma autore singolare, originalissimo nel suo reinterpretare. Infine come non citare il Guercino, con le sue opere intrise di una atmosfera rarefatta nelle ricche gradazioni tonali e il Domenichino, che, con i suoi paesaggi, gettò le basi per la definizione della pittura del paesaggio seicentesco (vedi: Paesaggio con la fuga in Egitto del 1625).
Altro grande protagonista della pittura del 1600, è Caravaggio. Se Carracci tendeva all’ideale, in arte, Michelangelo da Caravaggio vuole esprimere il reale. Una personalità discussa; a giudicare dai suoi trascorsi ebbe certamente un temperamento impetuoso. Da Roma, a causa di un omicidio, fuggì recandosi a Napoli prima e poi a Malta ed in Sicilia. Eppure per lui l’arte non è evasione, ma rigore morale nel denunciare i fatti. Come un documentarista, come un fotoreporter, analizza la realtà, la restituisce in tutti i suoi toni altamente drammatici. E per far questo usa la luce, e per far questo esaspera le ombre. Utilizza cioè tutti quei codici di comunicazione che collegano l’emotività alla percezione e diviene così l’autentico interprete, di tutte le ansie e le contraddizioni di questo secolo, metafora dei drammi del presente di ogni epoca. Per l’artista il divino si manifesta negli umili. Questo è il filo conduttore che unisce le sue opere a carattere religioso. In questo Caravaggio osò molto, tanto da giungere a raffigurare la Vergine nei panni di una donna qualunque. La “morte della Madonna”, del 1606, mostra una donna lontana da modelli idealizzati e irreali cui si era abituati; accanto a Lei, gli apostoli, e la Maddalena, disperata e impotente come lo può essere ogni donna, costretta a subire una perdita… e la tragedia è umana e immensa nel suo schiacciante realismo. Caravaggio traduce in pittura un sentimento oscuro, quello che pervade la vita di tutti gli uomini, ma che solo pochi sanno come rappresentare: quello della morte. La morte e la vita, due aspetti compresi nello stesso piano, condividono la stessa superficie, quella della vita e quella della tela. Cosa c’è, se non un profondo senso di malinconia, nello sguardo del “Bacco adolescente” che Caravaggio dipinse già nel 1590? Quel cesto di frutta, che evoca gioia e dovizia, non è forse una natura morta? Cosa dire infine del particolare dei piedi segnati, e le mani gonfie nelle vene, di “San Matteo e l’Angelo”. La natura del Santo, è umana. Umane sono le sue caratteristiche, e il suo sguardo, nel vedere l’angelo, è forse anche un po’ stupefatto, se non atterrito.