Palermo nell’ottocento
Nella piazzetta St. Spirito, tra la Porta Felice e via Butera si trova una scalinata che conduce alla cosiddetta “passeggiata delle cattive“, pubblico parterre costruito sopra le mura nei primi dell”800. La lunga e larga terrazza, ornata di piante e sedili era la meta prediletta delle vedove, chiamate “cattive”, che vi si recavano per effettuare le loro passeggiate in un luogo senza dubbio più riservato rispetto a quello della sottostante “passeggiata alla marina”, il luogo più frequentato della città. L’attuale Foro Umberto I, comunemente chiamato dai cittadini Foro Italico dal nome che aveva assunto dopo il 1948, rappresentava la “passeggiata alla marina” che solevano praticare i cittadini palermitani sin dal periodo della costruzione della strada.
Nata come “Strada Colonna” dal nome del Vicerè che ne suggerì la costruzione e che governò la Sicilia dal 1577 al 1584, la passeggiata si affermò subito come uno dei principali luoghi di svago e ritrovo della cittadinanza, che si recava alla marina non solo per passeggiare in riva al mare, ma anche per udire concerti ed assistere agli spettacoli che vi si svolgevano. La passeggiata quindi diventò una consuetudine che, pur con le dovute differenze, si mantenne nei secoli successivi.
Ed è proprio dalla passeggiata alla marina che voglio trarre spunto per restituire una immagine di una Palermo dell’Ottocento, che recava in sè la speranza di un prospero futuro, di una innovazione tecnologica, di una evoluzione sociale e culturale. Alla passeggiata alla marina si andava per vedere e farsi vedere… e Palermo, agli albori del XIX secolo, era proprio così: desiderosa di farsi notare.
Palermo era riuscita ad ottenere da Ferdinando di Borbone la Costituzione nel 1812. Nel 1813 il primo Parlamento. Ma nel 1815 Ferdinando torna al trono di Napoli, e abolisce la Costituzione concessa alla Sicilia tre anni prima unificando i due regni, e diventando Ferdinando I, Re delle due Sicilia. Seguirono i moti rivoluzionari del ’20, del ’48 e infine quelli dell’Aprile del 1860, che precedettero la venuta di Garibaldi nel mese di Maggio. Quindi la Sicilia dell’Ottocento è divisa in due distinti periodi, quello della Sicilia borbonica e quello della Sicilia unitaria. Il 22 Ottobre del 1860, la Sicilia fu annessa al Regno d’Italia. Il passaggio ad un’Italia unita pose dopo il 1860 non pochi problemi di tipo amministrativo, dal momento che, le vecchie strutture economiche-sociali della Sicilia erano ancora inadeguate a camminare di pari passo con quelle nazionali. Inoltre essendo stata Palermo tolta ai Borboni in modo non indolore, si trattava di approntare una vera e propria opera di ricostruzione per quelle parti della città che erano state devastate, oltre a quelle opere che dovevano adeguarla alle nuove prospettive di espansione.
La Strada della Libertà, importante asse viario della città posto urbanisticamente in continuità con quello antico della via Maqueda, (quello lungo il quale oggi troviamo i principali negozi e locali della città), fu voluta dal governo di Ruggiero Settimo, che decise per il prolungamento dell’asse della via Maqueda, dal piano di S. Oliva alla contrada dei Colli. Tale decisione indirizzò lo sviluppo successivo della città verso Monte Pellegrino.
In questo periodo si affermò una nuova classe emergente, che, provenendo da realtà di tipo imprenditoriale, diede un nuovo impulso economico alla città di Palermo.
Esponenti di primo piano della borghesia palermitana furono ad esempio i Florio, imprenditori attivissimi, possessori di una flotta mercantile, di cantieri navali, di una fonderia e di numerose altre attività che spaziavano da quella vitivinicola a quella della produzione di ceramica.
I Florio contribuirono ad instaurare a Palermo quel nuovo clima di sviluppo per cui la città riuscì a ottenere, in quel periodo un ruolo nella vita socio-politica e culturale del Paese.
Dal 1840 Vincenzo Florio L’influenza della cultura inglese nella Palermo di quegli anni si conferma anche in alcuni interventi come quello del Giardino inglese, progettato da G.B. Basile lungo l’asse della via Libertà e la trasformazione in un tipico square della piazza Marina, (il giardino Garibaldi), tra il 1861 e il 1864.
Nella seconda metà dell’Ottocento, la borghesia palermitana in ascesa, desidera dotare Palermo di un importante Teatro che possa rendere la città pari a quelle Europee. Così in una città che in quel periodo aveva bisogno di convogliare risorse in opere anche meno nobili, ma certo necessarie, si avvia la costruzione di uno dei monumenti più famosi di Palermo: il Teatro Massimo.
La storia di uno dei più bei teatri del mondo inizia così tra le polemiche nel 1864, quando si bandisce il concorso internazionale per il nuovo teatro lirico di Palermo. Presiedeva la giuria Goffredo Semper che dichiarò vincitore Giovanbattista Filippo Basile. Come sede per il Teatro fu scelta un’area situata tra il centro antico della città e la nuova linea d’espansione a settentrione. Per far posto al teatro dovettero essere eseguite numerose demolizioni tra cui due importanti monasteri, quello di San Giuliano e delle Stimmate e parte dell’antica cinta muraria della città.
…Ai lavori si dette inizio nel 1875 sotto la direzione dell’arch. G.B. F.Basile che però morì nel 1891 senza vedere completata la sua opera. Alla direzione dei lavori subentrò il figlio Ernesto, sotto il quale il teatro venne completato. Il Teatro Massimo venne inaugurato col Falstaff di Verdi nel 1897. Fiancheggiano l’ingresso due bronzei leoni che rappresentano la tragedia e la lirica.
Il teatro Massimo rappresenta uno dei teatri più belli del mondo, terzo in Europa per estensione, dopo l'”Operà” di Parigi e l'”Opernhaus” di Vienna, (copre un’area di ben 7730 mq.), e può contenere fino a 3400 spettatori. Dopo i lavori di restauro per lo svolgimento dei quali il Teatro è rimasto chiuso dal 1974, è stato restituito alla collettività nel 1997, sotto l’allora sindaco Orlando.
Nel 1892 a Palermo si realizza l’esposizione Nazionale. Fu un evento di particolare rilevanza poichè con essa si inaugurarono i primi legami formali e strutturali del Liberty con il contesto urbano della città. E. Basile, figlio di G. F. Basile, fu impegnato nella progettazione della Galleria delle macchine, del Palazzo della mostra delle belle Arti e dell’Edificio principale contenente il salone delle feste.
Basile fu il principale protagonista del Liberty palermitano. Esempi del linguaggio liberty a Palermo realizzati da E.Basile sono: lo Stand Florio del 1905; Il chiosco Ribaudo in Piazza Castelnuovo del 1916; Villa Igea del 1899; Villino Florio del 1881; Villino Ida Basile del 1903; il Kursaal Biondo del 1913; Il Palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia del 1912 e il chiosco Ribaudo del 1887 in Piazza Verdi. Villa Igiea, che nasce per volere della famiglia Florio venne progettata nel 1908 da Ernesto Basile che la sovrappose ad una costruzione precedente ispirata al ‘400 siciliano di proprietà di un gentiluomo inglese (Downviller).
La villa presenta ancora gli originali arredi liberty, realizzati dallo stesso Basile nel 1898.
AL cosiddetta “sala Basile”, decorata con splendidi affreschi del pittore E. De Maria Von Bergler, è un esempio di come anche a Palermo si rispondesse al principio -tipico del Liberty- di pensare alla progettazione anche degli elementi di arredo, oltre che delle parti architettoniche degli edifici. Si trattava infatti di una progettazione che considerava importante estendere i principi compositivi del liberty a tutti gli aspetti della vita di chi era destinato a abitare in un edificio liberty.
Palermo tuttavia non ha aderito completamente al “liberty” ma ha introdotto tale linguaggio attraverso alcuni specifici segni. “Segni morfologici peculiari – afferma A. Sciarra Borzì, nella pubblicazione su E. Basile- risemantizzati con maestria, a volta da pochi architetti dell’epoca con molta attenzione alla tradizione siciliana con lessico soprattutto attinto alla Sicilia orientale”. Gli episodi si concentrano nel tema della residenza, e così ” Nel momento liberty palermitano, la villa emblematica di tipo residenziale, non più esclusivamente stagionale, veniva uniformandosi alle analoghe realizzazioni europee, poichè il comune denominatore di tipo sociale (l’affermazione a livello internazionale della borghesia medio alta) le accomunava”.
Le opere riferibili al Liberty sono ricche di grazia e eleganza. Il Liberty ha agito nella città senza turbare nè incidere con forza, ma per lasciare il segno ha tracciato una linea leggera e sinuosa come il disegno di una decorazione floreale, sfuggita alla mano di un disegnatore.