Presepi
Simbolica allegoria di un microcosmo e magia di una antica realtà reinventata, il presepe, in origine presente esclusivamente all’interno delle chiese, si diffuse successivamente anche all’interno delle case della gente, divenendo una “presenza” simbolica del periodo del Natale. Chi non ricorda il “Natale in casa Cupiello” di De Filippo, in cui il padre voleva rendere partecipe il figlio nell’apprezzare il presepe che aveva fatto! Plastica narrazione di un evento che suscita emozioni ancora oggi, la composizione del presepe restò negli anni sostanzialmente sempre la stessa… Esso rimane un impianto scenografico al cui centro si trova una semplice grotta, dove riposa il bambinello e dove convergono, in un percorso simbolico verso la vita che nasce pastori, Re magi e pecorelle, oltre alla tradizionale stella cometa, che nessuna rivelazione scientifica che ne attesti l’impossibilità di un suo passaggio, potrà mai togliere dalla grotta. Per molti, ancora oggi, comporre un presepe è una vera e propria arte. In un articolo apparso nella rivista “Sicilia” del 1967, P. Gulino scriveva:” In molti centri della Sicilia, è tipico il modo di costruire il presepe sopra un tavolo in un angolo della stanza. La caratteristica principale è data da una grande semicupola di fronde verdi con appesi arance e mandarini dalla buccia color del sole. Sotto tale cupola, costruita con sughero e cartone, sorgono montagne e casette isolate o raggruppate a figurare villaggi e paesi, da dove partono recando i più svariati doni, figurine di terracotta”. Ma l’arte di comporre un presepe non è solo quella di costruirlo.
E’ anche l’arte dei figurinai, cioè degli antichi artigiani siciliani che realizzavano le statuine da presepe, i “pastorelli”. Il presepe realizzato con statuine mobili, riprende antichi schemi formali appartenenti alla cultura figurativa espressa su questo soggetto in codici miniati, in mosaici, in pitture su vetro, ecc… Quest’arte in Sicilia è attestata al XVI sec., risale infatti alla II metà del XVI sec. il presepe della chiesa di San Bartolomeo di Scicli –un’opera di fattura napoletana. A. Stefanuci in “Storia del presepio” – 1944, afferma che esiste un influsso napoletano nei presepi d’arte siciliani, ma accenna al fatto che mentre la tradizione del presepe a Napoli si riferisce alla sola città, in Sicilia molte località hanno più o meno contribuito a dare un apporto alla tradizione presepiale.
Un decisivo impulso alla pratica del presepe lo diedero in Sicilia i Gesuiti. Il presepe d’arte in Sicilia nasce all’insegna del Gagini, con il gruppo della Natività composto per la chiesa parrocchiale di Pollina, nel 1526. Nei primi anni dell’Ottocento, il presepe, fuoriesce dagli ambienti ecclesiastici e comincia ad assumere quei caratteri popolari ampiamente documentati dal Pitrè, (Giuseppe Pitrè – Spettacoli e feste siciliane, PA 1881– ha infatti catalogato le diverse tipologie dei personaggi e degli elementi del paesaggio rilevati, tra la fine dell’800 e i primi decenni del nostro secolo). Una importante svolta in questo senso la diedero le nuove tecniche di lavorazione delle figure. L’introduzione degli stampi di gesso nel ciclo di lavorazione fu determinante incrementare una vasta produzione in serie delle dei pastorelli. Molti autori di figure da presepe sono oggi ignoti. Dal momento che tale arte si considerava minore, infatti, gli esecutori raramente si firmavano. Inoltre molte statuette venivano realizzate dalle suore dei conventi.
La caratteristica principale dei presepi di fattura popolare, è quella di riprodurre i personaggi con costumi coevi all’epoca dell’esecutore. Mentre in genere nel presepe d’arte le statuette sono fisse in quello popolare i pastori subiscono spostamenti in relazione allo scorrere cronologico della narrazione dell’evento. Abbiamo così ad esempio, i due diversi tipi di Re Magi: quelli sui cammelli, o cavalli, realizzati per essere disposti in cammino e quelli genuflessi, da sistemare davanti alla mangiatoia in adorazione nel giorno dell’Epifania. Inoltre l’ampia disponibilità dei calchi che i ceramisti si tramandavano di generazione in generazione, ha contribuito a codificare i segni di riconoscimento delle botteghe di figurinai più antiche, stabilizzando tipologie e linguaggi espressivi. Il Bambino Gesù “Gesuzzu”, è in genere sdraiato con le braccia aperte, in un simbolico abbraccio con tutta l’umanità che è venuto a salvare. La Madonna, molto giovane, è tradizionalmente raffigurata in ginocchio a mani giunte, nell’atto di adorare il Bambinello. San Giuseppe è vecchio, si appoggia al bastone fiorito. Aspetti peculiari dei pastorelli siciliani sono espressi anche in alcuni piccoli dettagli dell’abbigliamento negli atteggiamenti gestuali o negli strumenti utilizzati dai pastorelli. Abbiamo lo scantato, in cui l’esasperazione del gesto esalta il senso di sgomento; Il ciarameddaro, nell’atto di gonfiare l’otre; il Gennaietto, un vecchio coperto di cappuccio, che si scalda vicino al fuoco del braciere; “l’uomo che si toglie la spina dal piede”, un personaggio colto in una posa di grande immediatezza naturalistica, ideato e foggiato per la prima volta da Giovanni Matera e ripreso dai presepisti successivi. In un presepe del Museo Etnografico di Palermo, proveniente da Caltanissetta, è compreso uno zolfataio, figura nota nell’area nissena dove un tempo l’estrazione dello zolfo costituiva la principale attività economica.
Nei presepi oltre ad una quantità di offerenti, sono spesso presenti figure come la lavandaia che deterge il bucato, quella che strizza i panni o quella che li strofina. L’atto è espresso nel momento in cui si compie. E’ come una “fotografia” di qualcosa di vero, reale, e contribuisce a significare che quell’evento davvero sia esistito in quel tempo lontano. Questo tempo lontano è però rappresentato attraverso il portare in scena i mestieri e i costumi di un tempo più vicino a quello contemporaneo ai realizzatori delle figure. I pastorelli in terracotta, espressione dell’artigianato popolare, di fattura palermitana, realizzati nel periodo prima e dopo la II guerra mondiale, mostrati nelle immagini qui presentate, raffigurano i mestieri che ancora in quel periodo si svolgevano, legati al mondo contadino, ma non solo. Tali figure presentano una anima interna in filo di ferro, piccole dimensioni, (non superano 5 ed i 6 cm di altezza), e una volta tratti dagli stampi sono colorati a mano. Un personaggio tipico è l ‘addormentato, il che rappresenta quello che venne poi destato dall’angelo e destinato a diffondere la notizia dell’evento tra i pastori. Un altro personaggio sempre presente è il pastore che reca la pecorella sulle spalle, e che simboleggia il Buon Pastore. Troviamo poi il ciarameddaro, nell’atto di suonare, con i tipici calzari; il pastore con la bisaccia appesa al collo, visibile dietro le spalle. La pelle di capra dei pantaloni dei pastori è realizzata in modo minuzioso, così anche la pittura delle vesti delle donne reca a volte, minuscole punti colorati a rappresentare la fantasia della veste. Troviamo la portatrice di uova, la lavandaia, e rappresentati numerosi mestieri come quello del fabbro, dell’arrotino e c’è anche chi è colto nell’atto di preparare le caldarroste.
Gli abiti e le scarpe si differenziano in relazione al mestiere rappresentato. E’ interessante confrontare due figurine da presepe qui mostrate, realizzate nel periodo intorno al 1930, con quelle realizzate nel 1945/50. Queste due figure rappresentano due lavoratori della campagna. Sono entrambi a dorso nudo e recano uno un fascio presumibilmente di grano, ed uno un sacco sulle spalle. Le spalle e le braccia sono muscolose e appare un fatto insolito che tali figure così leggermente abbigliate si possano inserire nel paesaggio invernale rappresentato storicamente nel presepe. È una ipotesi quella che la figura appartenente al mondo contadino sia tipica dell’immagine di forza che si voleva propagandare, a dimostrazione che il periodo storico – il ventennio fascista- si sia potuto riflettere anche nell’arte popolare delle semplici realizzazioni di figure di presepe.
Alto genere di Presepe, è quello artistico, che si sviluppò, tra Seicento e Settecento, nel trapanese, dove si realizzarono composizioni di corallo, a formato ridotto, che diedero vita a numerosi capolavori d’arte. Alcune piccole e splendide Sacre Famiglie in avorio e corallo sono conservate presso il Museo Pepoli di Trapani. Fra gli autori di questi singolari opere d’arte si ricorda il maestro G. Tipa che con i figli Andrea e Alberto fu titolare di una prestigiosa bottega attiva a Trapani almeno fino alla fine del XVIII secolo. Salomone-Marino riporta che nel XVI sec. Fu realizzato un presepe dal nome: “Montagna di corallo” e acquistato da Francesco Ferinando Avalos, Viceré di Sicilia, fu poi donato a re Filippo II.
Infine come non parlare della personalità artistica di G. A Matera, (1653-1708) eccelso artista siciliano di Trapani che si distinse nell’arte di saper creare stupende statuette da presepe eseguite con una tecnica originalissima, da lui ideata, che gli consentiva di modellare con estrema naturalezza, i drappeggi delle vesti. Le statuette, in legno di Tiglio, venivano modellate con cura nelle parti del viso, delle braccia e delle gambe, mentre il corpo rimaneva abbozzato sottili strisce di stoffa, di lino o tela, venivano immersi in una mistura di colla e gesso colorata. Tali pezzi di stoffa venivano poi applicati al corpo e modellati fino a raggiungere l’effetto plastico.
Mastru Giuvanni lu pasturaru, come veniva affettuosamente appellato dai concittadini, produceva solo pezzi unici in quanto le figure non venivano tratte da calchi. Eseguite in legno, tela e colla, possedevano una espressività tale da colpire prestigiosi personaggi dell’epoca, che vollero portre con sé le statuine. E’ il caso della composizione denominata “la strage degli innocenti” che si trova al Museo Nazionale di Monaco. Le figure da presepe che invece possiamo vedere al Pitrè di Palermo, sono dovute ad una concessione del Museo Regionale archeologico. Hanno una storia particolare perché erano state conservate in una sala chiusa, dal Salinas, e quindi ad un successivo riordino furono trovate e poi donate al Museo etno-antropologico, che possiede oltre 400 statuette. Anche il Pepoli di Trapani possiede alcune produzioni del Matera. A Palermo Matera era apprezzato al punto che la richiesta era tale da favorire la diffusione di molte statuette, non originali, opere dei suoi fratelli o aiutanti, (non allievi però! perché si dice che non ne volle mai).
Anche Caltagirone –CT, ebbe nella storia del presepe un ruolo di primo piano. Sempre P. Gulino nel suo articolo”Presepi di Sicilia”, riporta:” …E quando dalla dolce Umbria pervenne ai popoli la nuova del presepe costruito da Francesco d’Assisi, tra i primi furono gli stovigliai di Caltagirone a plasmare quelle caratteristiche figurine di terracotta che coloravano anche con una patina di smalto”. A Caltagirone, operarono Giacomo Bongiovanni, nato nel 1771, e Giuseppe Vaccaro, suo nipote, maestri nell’uso di sottilissime strisce d’argilla sovrapposte sulle statuine. Le figure presentavano dimensioni dai 20 ai 30 cm. Di altezza, ed erano dipinti a colori naturali- per ciò che riguarda gli abiti, mentre il viso e le mani ad olio, affinché il colore si mantenesse sempre vivo. Bongiovanni si può considerare il caposcuola dei figurinai calatini. Sempre a Caltagirone spiccarono i nomi di Azzolina e del monaco appartenente all’ordine dei Minimi Benedetto Papale, autore di piccoli presepi che si solevano conservare sotto campane di vetro.