Castelbuono

Nome Abitanti: castelbuonesi
Popolazione (2012): 9.161
CAP: 90013
Provincia: Palermo (PA)
Codice Istat: 082022
Codice Catastale: C067
Coordinate GPS (Lat Lng): 37.93333, 14.08333
Altitudine (m. s.l.m.): 423
Patrono: sant’Anna
Giorno festivo: 26 luglio
Altre informazioni


veduta di castelbuono

Castelbuono, situato a 423 metri sul livello del mare sulle pendici del colle Milocca, si trova al centro di un bacino, delimitato a Nord dal cono di Pollina, ad Est da San Mauro, a Sud-Est da Geraci e a Sud da massiccio calcareo delle Madonie. Questa posizione geografica e la presenza del bosco, ricco di vegetazione di castagni, faggi e querce, determinano la favorevole caratteristica climatica del paese, che in estate richiama un considerevole numero di turisti attratti sia dalle bellezze architettoniche e naturali, che dal clima.
Dati certi sulla fondazione di Castelbuono si hanno da quando Aldoino Ventimiglia, Conte di Geraci, nel 1269 vi trasferì gli abitanti di Fisaulo, piccolo casale posto a guardia del guado sul torrente Panarello, che occupava una posizione strategica nell’ambito dello sfruttamento economico del territorio: situato all’incrocio delle strade di fondo valle era infatti utilizzato per concentrarvi il legname tagliato nei boschi vicini e le derrate agricole e come luogo di transito dei carriaggi che trasportavano il legname.
Il trasferimento dei suoi abitanti risponde all’intenzione di fare del nuovo villaggio un fondaco difeso da una piccola guarnigione, atto a ricevere carovane di merci, ospitare un mercato e all’occorrenza, costituire un centro difensivo di raccolta per le popolazioni sparse nella valle.
Il Conte Alduino scelse un luogo più alto e più ameno di Fisaulo, posto su un colle di San Pietro a Sud Est, dal quale si dominava più agevolmente tutta la valle sottostante. Ivi sorgeva, fin dal periodo bizantino, un piccolo centro urbano dal nome Ypsigro (dal glossario bizantino Psykròs, che vuol dire luogo fresco, altezza umida). Ypsigro subì i disagi delle lotte che si svolsero nelle Madonie fra i bizantini e musulmani per la supremazia dell’isola.
Sotto la dominazione musulmana sembra che Ypsigro debba identificarsi con il casale Ruqqak Basili, che il geografo arabo Edrisi nel classico testo geografico “Libro di Re Ruggero” pone a dieci miglia di strada da Geraci verso ponente, in direzione di Isnello.
Governato dal Kadì Mustafà, era sotto la giurisdizione dell’emirato di Petralia. Ciò trova riscontro a tuttoggi nella toponomastica locale (la via detta, appunto, Mustafà) e nelle numerose testimonianze sparse nel territorio: ruderi di fabbricati in contrada S. Guglielmo, tracce di necropoli, e infine la antica tradizione che la Matrice Vecchia fosse originariamente una moschea.
E’ probabile che il nome Ruqqak Basili “Rocca di Basilio”, derivasse dal fatto che nel comprensorio esistesse un monastero tenuto da monaci basiliani, fervente di vita propria nonostante la presenza dei musulmani, e di conseguenza non soggetto ad alcuna gerarchia ecclesiastica. In quel periodo infatti vi era una pacifica convivenza tra la popolazione cristiana e quella saracena, al punto da essere la Sicilia, sul principio del secolo IX, popolata da monaci bizantini, com’è confermato dalla scoperta di molti oratori e monasteri rupestri, in zone montane a volte inaccessibili, ma talvolta anche vicini a qualche centro abitato.
Nel periodo normanno il casale fu assegnato dalla Contessa Adelasia, vedova del Conte Ruggero, al consanguineo Ugo di Creone, signore della contea di Geraci .
Quest’ultimo pochi anni dopo cedeva il casale con tutte le appartenenze di terre, colture, fabbricati ed abitanti all’Abate del monastero benedettino di Lipari, che in cambio gli rendeva altri beni immobili che possedeva nelle campagne di Geraci.
Nel 1269, anno in cui avviene il suaccennato ripopolamento del casale d’Ypsigro ad opera di Alduino Ventimiglia, si creano due fondamentali premesse tra di loro strettamente correlate: la prima, riguarda il mutamento progressivo della politica economica dei Ventimiglia nel territorio della contea; la seconda si lega alla nascita di Castelbuono.
Ai Signori Ventimiglia, si legano in rapporto strettissimo non solo la nascita, ma l’ulteriore secolare sviluppo -urbano e territoriale- di Castelbuono.
In quell’epoca il regno umido dei boschi era molto più esteso di quanto non si possa apprezzare oggi: in questo contesto, i Ventimiglia divennero, nel volgere di pochi decenni (e lo restarono poi per parecchi secoli) i “Signori delle selve”. Ne fa fede il loro interesse nel possedere i capisaldi territoriali dai quali si controllavano le più grandi silvæ dell’isola: Caronia, Tusa, Mistretta, Geraci, Gangi, San Mauro, Pollina, Finale, Ypsigro, Fisaulo, Isnello, Collesano, Roccella, Pettineo, Migaido, Castel di Lucio, Sperlinga, Gratteri e le due Petralie.
Era quindi per loro di vitale importanza il dominio territoriale su ciò che gli consentiva di essere dei grandi armatori navali. Il possesso del porto di Tusa, del cantiere marittimo della Roccella e dell’attracco del Finale, nonché il controllo di uffici governativi nei porti di Cefalù e Caronia, lo attesta.
L’esca usata dal Conte per incoraggiare il trasferimento delle famiglie non solo da Fisauli ma anche da altri paesi della Contea fu, e magari non la sola, il favore concesso di potere innestare oleastri, col condizionamento che restasse al vassallo la proprietà della pianta, e il terreno possesso del feudatario… Si costituirono così gli immensi oliveti che oggigiorno è possibile ammirare nel triangolo che ha per vertici i tre importanti centri del Marchesato: Castelbuono, Geraci, San Mauro.
Sostiene il Mogavero Fina che dopo il 1316 in documenti o in atti ufficiali non si riscontrò più l’antico nome di Ypsigro, ma venne citato Castellum Bonum.
I Ventimiglia scelgono Castelbuono come nuovo centro del loro stato. A questo punto, la concezione del «castellum» forse non portato completamente a termine, si tramuta definitivamente in quella di palatium a più livelli, nel quale la tipologia precedente tipica delle «mansiones» con ampio cortile interno, viene sostituita (pur rimanendo la pianta quadrilatera) da un più fitto utilizzo dello spazio. All’ampio cortile si contrappone difatti la realizzazione di una piccola corte centrale a cielo aperto, elemento distributivo essenziale della nuova idea progettuale.
E’ possibile riconoscere in questa fase storica un primitivo assetto urbanistico del nascente paese; si tratterebbe di un nucleo insediativo morfologicamente molto simile a quello di una città fortificata.
Si può riscontrare nel disegno ventimigliano delle fortificazioni del 1316 la perimetrazione di un insediamento urbano, sistemato lungo i versanti della via S. Anna fino a Piazza Margherita (dove di lì a poco sarebbe stata edificata la Matrice Vecchia di Castelbuono). Il disegno del tessuto fatto di isolati rettangolari che traversano ortogonalmente le curve di livello, rivela infatti chiaramente la trama propria dell’urbanistica normanna. L’intero nucleo ha quindi una forma rettangolare; al suo interno è tuttora possibile reperire i resti di edifici, mura, feritoie e fortificazioni, pozzo, cisterne, orti e terrazzamenti.
Si tratta dunque di “un tentativo di organizzazione murata che, secondo gli schemi medievali, lasciò fuori il borgo (il noto Ypsigro). Non a caso a legare le due distinte realtà urbane, si venne a costruire, nella metà del ‘300, la chiesa parrocchiale della Matrice Vecchia con una Piazza fuori le mura che rimane la piazza principale del paese”.
Confrontando la trama urbanistica di questo nucleo con quello del vicino Ypsigro (quartiere Terravecchia), appare nettamente distinta la matrice insediativa. In quest’ultimo infatti la trama è quella islamica, formata da strade di penetrazione nei quartieri, e da vicoli ciechi (le azikka), i quali davano accesso a unità di vicinato che formavano comunità residenziali.
Francesco II ventimiglia proseguì l’opera di espansione territoriale del suo predecessore Francesco I, riunendo sotto un unico scettro le Contee di Geraci e Collesano, cui si aggiunge più tardi il contado di Isnello. Nel frattempo, Castelbuono si accrebbe.
Si gettarono dunque le fondamenta della matrice dedicata all’Assunta, (detta poi Matrice Vecchia) (1362); fu edificato, annesso all’eremo di S. Maria del Parto, un monastero dei Benedettini Bianchi che verrà in seguito elevato a dignità di Abbazia; fu costruita la chiesa di Sant’Antonio Abate, ed in essa poco dopo fu posto un centro sanitario sistemato nella navata destra, chiusa al culto.
Nel 1440, Giovanni I Ventimiglia ottenne il titolo di Marchese di Geraci (il primo marchesato della Sicilia), mentre nel 1595 Giovanni III Ventimiglia venne insignito del titolo di Principe di Castelbuono.
Infatti, con il nuovo ordinamento dinastico aragonese che faceva perdere alla Sicilia l’indipendenza e la libertà, soggiogandola totalmente allo straniero, erano pure cessate le lotte acerrime tra i feudatari, i quali oramai non avevano più motivo di usufruire delle gelide fortezze arroccate sui monti a scopo di difesa. Con la smobilitazione delle fortezze montane dunque si accrebbe il prestigio civico di Castelbuono, poiché i Ventimiglia, scegliendola deliberatamente come stabile dimora, le conferirono l’appellativo di Villa Dominante, cioè in posizione di assoluto privilegio nei confronti delle altre terre della Contea e del Marchesato di Geraci.
Nel maggio 1474 il Conte e Marchese Giovanni fa trasferire dal Castello di Geraci in quello di Castelbuono il sacro teschio di S.Anna, deponendo la preziosa reliquia nella cappella omonima dell’edificio, e predisponendo molto probabilmente una prima ristrutturazione architettonica della stessa cappella, che doveva certamente preesistere.
Si ascrive a questo periodo una notevole immigrazione di coloni e di famiglie di alto ceto; a ciò seguono una serie di bonifiche interne: nuove vie, convogliamento di sorgive e costruzione di case attorno le chiese, quali: S. Sebastiano, S. Vito e Santa Venera da un lato (lungo l’attuale via Fiera), S. Nicolò, S. Luca e S. Mercurio (queste ultime due scomparse) dalla parte orientale del paese. Al centro la chiesa di San Pietro, detta oggi del Crocisso, lungo la via Umberto I.
Si erano create dunque le premesse dell’espansione cinquecentesca, giacché le chiese e i conventi costruiti divennero immediatamente dei capisaldi per le successive urbanizzazioni. Va rilevato che Castelbuono fu uno dei centri delle Madonie in cui l’ordine religioso trovò più ampio spazio, fino alla chiusura, avvenuta per Regio Decreto dell’866, di numerose chiese e monasteri (che vennero adibiti ad altro uso: militare, culturale, accademico, etc.). La munificenza dei Ventimiglia permise la fioritura di numerose architetture cenobite, sia all’interno che extra moenia, lungo le principali arterie che collegano il centro con gli insediamenti limitrofi: Santa Maria del Parto, il Monastero di Liccia, Santa Anastasia sono i complessi di maggior rilievo.
Agli albori del ‘500 la podestà del Marchesato è tenuta da Simone I Ventimiglia. Pur occupando con rettitudine le alte cariche del Regno (essendo stato più volte Presidente e Vicerè), egli è al contempo interessato allo sviluppo ed al consolidamento del prestigio della sua Signoria, mirando a fare di essa una vera e propria reggia feudale.
In considerazione del livello demografico ed economico raggiunto dalla cittadina di Castelbuono, egli cerca di estendere ulteriormente i confini del territorio e a questo scopo ottiene dal Vescovo di Patti, nel 1508, la cessione di quei feudi che ancora rimanevano sotto la sua giurisdizione. Vuole, inoltre, per il paese la qualifica di Università, l’istituto municipale dell’epoca i Sicilia, con la Casa Amministrativa, il Governatore e i giurati. Infine, instaura nel paese la Gran Corte Marchionale dello Stato di Geraci, che, secondo l’uso del tempo e l’albagia feudale, si identificava con l’autorità sovrana, ed aveva un ordinamento sfarzoso, essendo composta da più corti (ciascuna delle quali aveva il proprio giudice e i propri ufficiali) subordinate al Governatore (rappresentante legale ed ufficiale del Marchese nelle svariate esigenze dello Stato di Geraci).
Ritmo di fervore innovatore dunque, che porta anche al rafforzamento di una nuova linea tra il paese ed il mare: il golfo del Finale è centro commerciale del Marchesato di Geraci. La capitale Castelbuono apre la via di accesso dal Castello, fiancheggiandola di oleandri e piante ombrose, e culminando in un ingresso monumentale: la fontana di Venere Ciprigna all’estremità del viale, espressione dell’arte rinascimentale (rimasta però priva della sua cornice architettonica, e trasferita più tardi in altro sito). Oltre a ciò, la costruzione della Villa Belvedere e la presenza a Castelbuono di scienziati (primo fra tutti il Maurolico, ospitato nel 1548 dal Marchese Giovanni II, il primo dei Ventimiglia nel quale gli interessi culturali prevalgono definitivamente su quelli politico-amministrativi) e letterati, testimoniano il fervore artistico e culturale del paese.
Anche in campo economico i progressi sono notevoli.
Castelbuono fu infatti nei secoli scorsi uno dei centri di maggior fioritura di industrie manifatturiere, quali, ad esempio, gli impianti del Martinetto, della ferriera, della polvere, dell’orbace, della cartiera, e più tardi dell’alcool, dei fiammiferi, della ceramica, nonchè della produzione del vetro: quest’ultima industria, la Vetriera, identificava col nome uno dei piccoli rioni in cui era diviso l’abitato del paese.
Nel 1550 il Marchese Simone II Ventimiglia aveva iniziato le pratiche per impiantare una officina tipografica, e fare stampare in edizione speciale le opere scientifiche, storiche e poetiche di Francesco Maurolico. Doveva essere la più grande dimostrazione della facoltosità dei Signori, poichè soltanto Palermo e Messina vantavano in Sicilia il possedimento di stabilimenti tipografici. Il sogno di questa iniziativa purtroppo svanì a causa dell’improvvisa morte del Marchese stesso, sopraggiunta nel 1559.
Oggi, delle industrie che prosperavano, salvo qualche raro appunto cartaceo e qualche rudere di fabbricato (come la ferriera di Tornesia) rimane soltanto la toponomastica del paese a tramandarne i nomi (via Vetriera, via Conceria, etc.).
I manufatti delle industrie suesposte venivano esportati, incrementando il commercio con i paesi delle Madonie.
Il XVI secolo si chiude con due eventi di particolare importanza per Castelbuono: la venuta nel paese dei padri Cappuccini, e l’acquisizione del titolo di Principato.
Difatti, con il Marchese Giovanni III Ventimiglia, vanto delle armi, del governo e della promozione culturale dell’isola, la nobile casata raggiunge il suo culmine. A lui si deve anche l’ampliamento dello «Studium Urbis» messinese e la richiesta -in qualità di Presidente del Regno- al sovrano Filippo III della licenza per l’apertura (1600) della “Via Nova” palermitana (la via Maqueda, il nuovo asse posto ad incrocio del Cassaro, o via Toledo). Per Castelbuono, Giovanni III avvia nel 1602 la costruzione della imponente Matrice Nuova, e nel 1614 fa spostare la monumentale fontana di Venere Ciprigna (o Ciprea) nel cuore del centro abitato. Del 1572 era stata l’iniziativa di far venire in paese i Cappuccini.
La presa di possesso dei Cappuccini, motivata dal risveglio provocatosi in Sicilia in seguito alla riforma monastica francescana (avvenuta nel 1528 per opera del Pontefice Clemente VII), fu sancita il 29 giugno 1577, giorno in cui fu piantata la Croce nell’ultima edicola della Via Crucis, detta il Calvario, e fu iniziata la costruzione del convento (presumibilmente innalzato sugli avanzi di una fabbrica esistente), che si concluderà -stando a quanto attesta l’Amico-.
Il Principato fu concesso a Castelbuono da Filippo II il 3 marzo 1595 a Madrid. Il Sovrano comandava a tutti i suoi sudditi di rispettare il privilegio concesso a Giovanni III, pena la sua perpetua indignazione ed il pagamento di una forte multa al Regio Erario. Il Principe godeva di tutte le immunità relative al nuovo titolo, ferma restando la sua devozione alla Corona, e la trasmissione del Principato ai suoi eredi in ordine di primogenitura.
Nel 1632 doveva seguire il titolo di città.
Nel XVII secolo, accresciutosi ancora il numero dei fabbricati in paese, si rese necessaria una bonifica: deviare i piccoli corsi d’acqua che serpeggiavano dentro l’abitato.
Ricoperti i letti dei fiumi si intraprese ad edificare, con il completamento della Vetriera fino ad affacciarsi sulla (attuale) via Vittorio Emanuele, che era un antico corso di fiume, e con la conseguente formazione di piazze agli estremi di detto percorso: le odierne Piazza Matteotti e Minà Palumbo (già conosciuta come «’a chiazzetta»). Quest’ultima fa perno sulla chiesa di S. Antonio, ex convento dei Minori Osservanti (che dal convento della chiesa di Santa Maria del Soccorso vi si erano trasferiti agli inizi del XVII secolo, arricchendola del prezioso patrimonio artistico della distrutta chiesa trecentesca).
Acquista dunque in questo periodo decisiva importanza la direttrice Castello-piazza Margherita, del tutto prevalente sulle altre parallele dei quartieri pressoché simmetrici del primo nucleo (il quartiere Manca, attraversato dalla principale via di collegamento con la costa, la attuale via Alduino Ventimiglia, ed il quartiere Vallone, attestatosi a Nord-Est, lungo le curve di livello, il quale appare più disomogeneo dell’altro per l’inserimento, a partire dal ‘500, di nuovi interventi).
La chiarezza con cui quest’asse si pone all’interno dello sviluppo urbano, lo farà rimanere l’asse di organizzazione della città anche nei secoli seguenti. La sua forza si manifesterà anche nel dettare la posizione della cattedrale, la Matrice Nuova, la cui edificazione si rese necessaria in quegli anni a causa dell’accresciuto numero di fedeli e dell’impossibilità, per la vecchia Matrice, di contenerli tutti.
I lavori per la costruzione della cattedrale si protrassero per circa un secolo, e costituiscono l’ultimo intervento di grande rilievo per l’immagine della città, nonché uno dei più complessi nella storia urbanistica della città stessa.
La chiesa (che in conseguenza del terremoto del 1820 che la ridusse quasi completamente in rovina è stata riedificata e completata nel 1830 ed oggi si presenta in uno stile neoclassico dovuto alle maestranze del luogo) anche se di scarsa rilevanza architettonica, è l’unica costruzione che tenti un confronto con il castello, se non altro da un punto di vista altimetrico e quindi di gerarchia prospettica.
Inoltre, il conferimento a Castelbuono della qualifica di città, dette origine ad ulteriori bonifiche e miglioramenti.
Anche il 1700 è un secolo caratterizzato da numerose bonifiche, cui si aggiungono i restauri di quegli edifici che cominciavano a denunciare la propria vetustà in maniera allarmante: la cappella del Castello, la chiesa dell’Idria, la Madonna del Palmento, etc..
L’ulteriore espansione del paese inglobò definitivamente le chiese di San Francesco e della Matrice Nuova, costituendo così un circuito di assi viari formato dalla “rua Fera”, da corso Umberto e da via Vittorio Emanuele: un triangolo i cui vertici sono costituiti dalle tre piazze principali (piazza Margherita, piazza San Francesco e piazza minà Palumbo) con interposte -al centro del triangolo e su uno dei lati- le piazze Parrocchia e Matteotti.
Si assiste inoltre in questo periodo all’impiantarsi di un cospicuo numero di palazzi signorili lungo le principali arterie. La loro quantità, e la datazione alquanto recente, trovano riscontro nella realtà economica e sociale del paese.
Il palazzo signorile è in genere un edificio di ispirazione tardo-cinquecentesca che gode del privilegio di una composizione assiale sulla facciata, con due ordini di finestre; l’impianto presenta un atrio ed una corte aperta sul giardino, con scalone e loggia al piano nobile. Soltanto le finestre ed i portoni denotano la nobiltà edilizia sulle facciate di intonaco rustico: gli interni, di contro, sono abbastanza sfarzosi, per riflettere -tramite affreschi e arredi- la nobiltà e l’agiatezza dei proprietari.
Al declinare del XVIII secolo Castelbuono presentava dunque la stessa suddivisione in quartieri che denota allo stato attuale.

Il milleottocento è caratterizzato, più che da interventi di ampliamento o costruzione di nuove fabbriche di pregio, dal rifacimento di quelle esistenti e degradate, e da puntiformi opere di bonifica e sistemazione o completamento, opere che hanno contribuito a conferire al paese l’assetto architettonico ed urbanistico dal quale è ancor oggi distinto.
Tutto ciò parallelamente alla progressiva ed inarrestabile decadenza della famiglia che per secoli ne aveva determinato nel bene e nel male le sorti, artefice principale del suo divenire.
Non v’è dubbio che a dare una spinta notevole ai restauri del XIX secolo abbia contribuito il terremoto del 1820: si ha notizia di numerose fabbriche quasi completamente demolite dall’azione devastatrice del sisma. Tra queste la Matrice Nuova, che -come abbiamo accennato- veniva ricostruita interamente in stile neoclassico. Crollava anche la parte superiore del Castello, già in condizioni precarie a causa del disinteresse dei proprietari, affaccendati in continui contrasti e beghe col popolo per il possesso degli antichi feudi.
Le cartiere (appartenenti al Barone Turrisi) che tanto onore a lavoro avevano dato al paese, per effetto della concorrenza estera non sono più in grado di reggere il mercato, per cui sono costrette a chiudere i battenti. Vengono pure chiuse al culto alcune chiese, come S. Paolo fuori il paese; si chiude una storica pagina, quella delle Fiere Franche, con l’estinzione delle più importanti; viene distrutta anche l’antica Villa Belvedere, e le sculture in marmo che la decoravano finiscono per adornare i palazzi della nobiltà, come più tardi avverrà per i due putti che ornavano le nicchie laterali della fontana di Venere Ciprigna.
Scomparsa anche la Vetriera, nel 1894 si chiudeva l’ultima industria. quella dell’alcool, in seguito alla distruzione dei vigneti causata dall’invasione della fillossera della vite.
Gli anni successivi, a cavallo tra lo scadere del vecchio secolo e gli albori del nuovo, sono altrettanto tristemente caratterizzati da continue alienazioni e chiusure di chiese e conventi, i cui locali vengono nella maggior parte dei casi ceduti al Comune per farvi scuole, biblioteche o associazioni culturali e filantropiche: basti ricordare la cessione al Comune della chiesa dei Domenicani, divenuto orto botanico e luogo ricreativo, o ancora il complesso di S. Venera, divenuto dal 1912 sede della Biblioteca Scolastica Popolare. Stessa sorte spetta al Castello, che il 25 aprile 1920 viene acquistato (grazie ad una sottoscrizione popolare e alle rimesse dei castelbuonesi emigrati in America) dalla amministrazione comunale, la quale, subito dopo la sofferta e travagliata asta pubblica provvede ai necessari quanto onerosi lavori di ristrutturazione.
Castelbuono continua a mantenere l’aspetto urbano medievale, conferitole da un’edilizia residenziale sobria e composta, nella quale si scorge la sintesi degli usi, dei costumi e dei valori di quella civiltà contadina che ne costituisce la storica matrice economica e culturale.
Le case presentano nella quasi totalità dei casi una tipologia a schiera secondo una disposizione a torre che ne prevede al massimo tre elevazioni, ciascuna composta da uno o due vani. Il piano terra era destinato in origine ad usi agricoli (pagliaio, fienile con annessa mangiatoia) o a bottega artigiana, proiettandosi dunque sulla strada su cui si aprono le porte delle singole abitazioni.
Questa usanza è ancora oggi -in molti casi- mantenuta, anche se spesso il locale a pianterreno è utilizzato come garage o cantina ed in alcune abitazioni ristrutturato come cucina-pranzo.


NEL PARCO DELLE MADONIE

Castelbuono
Veduta del Castello dei Ventimiglia del XIV sec.

La fondazione di Castelbuono avvenne nel 1269 per opera di Alduino Ventimiglia che trasferì sul Colle di San Pietro gli abitanti di Fisauli, proprio dove sorgeva l’antico centro di Ypsigro.Ypsigro aveva subito i disagi delle lotte che si erano svolte nelle Madonie, tra i Bizantini e i Musulmani per la supremazia dell’isola.
Nel 1316 inizia la costruzione del Castello, che, per il luogo ricco di “aria buona” in cui fu posto, fu determinante per la scelta del nome di Castelbuono.
Il Castello sorge all’estremità della collinetta sul dorso della quale si sviluppa la parte più antica di Castelbuono, dominando con la sua mole l’intero abitato. Una doppia gradonata, costruita nel XV sec. lo raccorda all’attuale piazzetta sottostante. Il castello contiene la preziosa Cappella di Sant’Anna, che venne trasformata con una fastosa decorazione barocca.
La Matrice Vecchia, del 1362, reca un campanile di stile romanico-gotico e sovrapposizioni stilistiche afferenti a epoche diverse; tra le opere che si trovano al suo interno si distingue per bellezza un polittico attribuito al figlio di Antonello da Messina, Antonello de Saliba. Molto belle anche la Matrice Nuova del 1600 e la chiesa di San Francesco, di origine tardomedievale, ricostruita come oggi la vediamo, nella seconda metà del ‘700.