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Confini

Complice il recente fenomeno di velocizzazione dei processi di trasformazione, oggi osserviamo l’avanzare di un paesaggio (sia urbano che di frangia) della frammentazione e dell’incompiutezza. Quanto ci costa in termini di involuzione culturale il diffuso degrado di alcuni ambiti urbani e di parte del nostro paesaggio? Quanto ci costa in termini di immagine nei confronti del resto del mondo? Quanto in termini di disagio giovanile, il non riconoscersi in ambienti che sono sempre più anonimi e lontani da ogni parvenza di organizzazione di spazi di civile e regolata convivenza?
Il dolore generato dalla costruzione di spazi alienanti ritorna in termini di violenza, apatia, tendenza alla dissociazione e voglia di fuggire.

Questo si traduce in un costo per la società, che prima si illude di risparmiare nelle azioni di recupero delle periferie e dei paesaggi degradati, ma che poi deve intervenire sulle drammatiche conseguenze generate nell’uomo da questa indifferenza.
La recente crisi verificatasi in Europa, inoltre, incide pesantemente aggravando le condizioni già osservate, perché i costi per l’intervento sono elevati sia in termini di progettazione che in termini di impiego di materiali e mezzi.
Restano intorno dei paesaggi sospesi, come in attesa che si sovrappongono e si contagiano tra di loro, generando degrado su degrado e alimentando il senso di provvisorietà e di marginalità nelle comunità residenti.
Queste elaborazioni di immagini fotografiche digitali, vogliono fare riflettere sul tema e indurre ad una seria valutazione del fenomeno nelle sue reali proporzioni.

Paola Campanella



SUL PONTE CHE NON C’E’

 

E adesso che le polemiche sul ponte sullo stretto sembrano essersi spente, è interessante condividere questo breve stralcio tratto da:

 Rivista sicilia n 7  del  1954
Calabria e Sicilia si guardano

Gian Paolo Gallegari

 (…)Mi sovvenne il progetto del ponte che dovrebbe in futuro collegare la Calabria alla Sicilia e pensavo che se ci fosse già stato, dai nostri cinquemila metri sarebbe apparso come un minuto duplice segmento segnato a matita: tanti miliardi indicati da un segno convenzionale. Il Ponte sullo Stretto: l’avvenire, il progresso, la fine del mito di Scilla e Cariddi. Mi sento in perpetua contraddizione fra la civiltà che ha i suoi diritti dinamici e la tradizione che ha il suo colore e i suoi classici richiami. Penso con soddisfazione alle file di autocarri che alla notte con la lama dei loro fari legheranno Reggio a Messina, ma temo di perdere la magia delle luci di Messina, viste da Reggio, come staccate da un altro mondo e riflesse sul mare; e il traffico delle barche fra le due rive, con verdure e masserizie; e il solenne arrivo del traghetto con i suoi vagoni ferroviari pieni di gente ai finestrini; e quel riprendere dei treni e delle automobili dal mare alla terra, dal lento trasporto alla corsa autonoma, tutto come una pausa necessaria alle cose e alle menti perché sia ben netto il passaggio dall’isola al continente. (…) il mare , anche in un braccio sottile come questo, divide; un ponte unisce, dà continuità alle terre e spezza i confini.

Paola Campanella



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