Cascata: la caduta. L’arrivo
Presento l’ultima opera da me realizzata in ordine di tempo. Il titolo dell’opera è: “Cascata: la caduta. L’arrivo”. Il supporto è un pannello in laminato. La tecnica è mista: vernici e colore ad olio. Le dimensioni sono 90 x 90 per singolo pannello. L’opera deve essere considerata non per singolo pannello ma come un’ opera completa, che comprende i due pannelli insieme e le fotografie a corredo.
Mi sono avvalsa di una tecnica di dripping verticale, per cui il colore non è stato fatto gocciolare sul supporto disposto orizzontalmente (sul pavimento), ma lo sgocciolamento è stato provocato dal lancio del colore verso il supporto, posizionato in modo verticale. Non di vero e proprio sgocciolamento quindi si tratta, ma di “gesto”. Si tratta pertanto di una tecnica simile a quella utilizzata dagli artisti dell’action painting, che mira a conferire un senso dinamico all’intera composizione grazie all’immediatezza del procedimento creativo. Tuttavia il risultato è guidato, al fine di fare riconoscere all’osservatore l’effetto di un qualcosa di esistente, in questo caso una cascata, che propone di sé l’effetto dell’acqua quando cade e dell’acqua quando al suo arrivo provoca schizzi cadendo sull’acqua sottostante. Si consideri anche che, l’inserimento di strati di colore resi al fine di provocare effetti materici, può ricordare alcune forme di arte povera.
Ma la vera originalità dell’opera consiste, a mio avviso, nel suo dialogare con la fotografia. Una serie di immagini fotografiche digitali dell’opera stessa, da me realizzate, mostrano i diversi effetti ottenibili cambiando il punto di vista e la distanza dall’opera. In questo modo si può ottenere una amplificazione della sensazione dinamica, o una accentuazione degli effetti materici, o una distorsione tale da realizzare di fatto altri singolari effetti percettivi. Altri “quadri” che esistono solo virtualmente, poiché generati dalla distorsione attuata dall’obbiettivo del mezzo fotografico.
L’opera nel suo complesso (pannelli dipinti più foto), diviene quindi uno spunto per riflettere sul concetto di fotografia, di riproducibilità delle opere d’arte, e perché no anche sul concetto di movimento del fruitore nello spazio antistante l’opera. È come se si volesse suggerire che l’opera non è fatta per essere fruita come un qualcosa di statico, ma come un oggetto che presuppone il movimento dell’osservatore. Un soggetto dinamico che richiede un fruire dinamico. La collocazione ottimale è pertanto non a parete, ma sospesa ad una distanza dalla superficie verticale della parete, tale da consentire una visualizzazione dell’opera non esclusivamente frontale. Tale collocazione potrà favorire la percezione delle concrezioni di colore, una loro esaltazione con luce radente, per offrire inediti affetti di luce e di ombre. Quest’opera si può collegare con le contemporanee interpretazioni dei paesaggi, non più visti come entità statiche ma in continuo movimento, pertanto si inserisce nella serie intitolata “Percezioni: paesaggi dinamici”.
Il dipinto osservato nella sua struttura, nei particolari attraverso l’indagine della fotografia, ci ha indotto a viaggiare dal generale al particolare, facendoci partecipi di nuove scoperte. Questa operazione di “destrutturazione”, questo modo di procedere, io l’ho chiamato destrutturativismo. Infine l’ultima fase che ha previsto una ricomposizione delle parti fotografate del dipinto, attraverso la manipolazione digitale delle fotografie ci offre un nuovo insieme, la cui matrice è comunque riconoscibile. Una tecnica artistica (il dipinto), si presta ad un’altra (la fotografia) che a sua volta si concede ad un’altra ancora (la manipolazione digitale). Questo “mantenimento” nel passaggio da un mezzo ad un altro, della sensazione iniziale, pur avendo manipolato a vario modo la composizione iniziale, consiste nel valore complessivo dell’opera. È come un mantenimento del genius loci di un paesaggio. È il permanere di una vocazione. È un’idea che riaffiora, dopo una tempesta.
Paola Campanella – 2011