Vincent Van Gogh
(ZUNDERT, 30 MARZO 1853 – AUVERS SUR OISE, 29 LUGLIO 1890)
Ritratto di un pittore
Questa è la presunta foto di Van Gogh del 1886, scoperta di recente in un deposito nel Massachusetts. Il nome del fotografo che è stampato sulla parte anteriore della fotografia è Victor Morin, che aveva uno studio a Bruxelles. Se fosse confermata questa ipotesi sarebbe affascinante, dal momento che non si sono mai recuperate delle foto che mostrano l’aspetto dell’artista. Si ritiene che si tratti di una foto precedentemente allegata a un documento di identificazione o a scopo di viaggi. La somiglianza all’autoritratto di Van Gogh del 1889, del museo d’Orsay è notevole… sappiamo però che Van Gogh soggiornò a Bruxelles per l’ultima volta solo alcuni mesi nel 1880. Una ipotesi è che sia stato il fotografo Victor Morin a spostarsi in altre sedi, come ad esempio ad Anversa, dove Vincent si recò per alcuni mesi a cavallo tra il 1885 e 1886. Altra tesi affascinante è quella di Antonio Martinez Ron che sostiene che Van Gogh abbia utilizzato la sua foto per farsi un autoritratto.
Un fallimento dietro l’altro… una delusione dietro l’altra, un senso di sgomento dovuto alla consapevolezza di non essere riuscito ad entrare mai veramente in comunicazione con gli altri, se non con il fratello Theo, con il quale intraprese quella fitta corrispondenza, grazie alla quale oggi conosciamo molti aspetti della vita di Van Gogh. L’arte per Vincent fu una scoperta graduale, e, come il resto delle sue passioni, venne consumata in modo a volte gioioso, a volte tormentato. Van Gogh era consapevole di quanto il suo linguaggio artistico si distinguesse da quello degli altri. Amava il suo modo di dipingere e ne era orgoglioso, ma soffriva enormemente per la sua incapacità personale nel proporla e farla apprezzare dal pubblico del suo tempo. Inoltre il suo temperamento, gli impediva di avere un rapporto sereno con gli altri e con se stesso. Questo si rifletteva su tutte le attività da lui intraprese nel corso della sua vita. Molti lo ricordano per il suo carattere impetuoso, che spesso si tende a collegare a veri e propri stati di temporanea follia, e per quel gesto estremo del taglio dell’orecchio, dopo una violenta lite con l’amico Paul Gauguin.
Van Gogh morì suicida, e non è certo che si trattò di un gesto meditato, o dettato dalla follia di un giorno. Quello che è certo è, che nel corso della sua vita vendette un solo dipinto, e che oggi è uno degli artisti più quotati e celebrati dell’arte contemporanea.
Vincent Van Gogh nasce in un paese del Brabante olandese nel 1853. Suo padre, un pastore calvinista, aveva infatti ricevuto un incarico a Groot Zundert, un piccolo paese legato ad una economia di tipo rurale. Vincent non è costante negli studi, che presto interrompe (nel 1868 a Tilburg), per iniziare a lavorare grazie all’intercessione dello zio Vincent, chiamato affettuosamente lo zio Cent. Il lavoro presso la casa d’arte “Goupil”, lo condurrà a Bruxelles e poi a Londra. Nel 1875, sempre per conto della casa d’arte, Van Gogh si reca a Parigi dove avrà modo di frequentare ambienti artistici e musei. In questo primo periodo parigino il giovane Vincent, viene pervaso da una sorta di ansia religiosa che presto lo spinge a volere ad ogni costo diventare predicatore. Per questa ragione nel 1876 si dimette dalla Goupil, e intraprende il suo nuovo cammino, con una tale passione da sconcertare i titolari della stessa Scuola di Evangelizzazione di Bruxelles, presso i quali lavorava, che alla fine decidono di revocargli l’incarico, addebitandogli uno zelo eccessivo. Ma un’altra delusione è alle porte.
Nel 1878, dopo lungo impegno, il giovane Vincent viene respinto agli esami di ammissione della facoltà teologica. Non dandosi per vinto decide di continuare in piena autonomia l’attività di predicatore, nel centro minerario di Wasmes. Nel 1880, dopo un periodo di assoluta indigenza, ma ricco di esperienze che probabilmente plasmarono il suo carattere, (Van Gogh si privava di tutto, vivendo per i poveri, in mezzo ai poveri) e dopo gli incoraggiamenti del fratello, decide di dedicarsi alla pittura, e si iscrive all’Accademia di belle arti. La passione per l’arte non lo aveva colto di sorpresa… Vincent aveva cominciato a disegnare con vivo interesse già dai tempi del soggiorno a Londra e poi a Parigi. Adesso stava però meditando sul fatto che solamente l’arte avrebbe potuto ridargli quell’entusiasmo, che precedentemente, aveva provato solo con l’amore per la religione. Una volta introdotto dal fratello Theo in alcuni ambienti artistici dell’epoca, comincia a dipingere ad olio e ad ispirarsi soprattutto ad un genere di pittura: quello di Daumier e Millet. Anche l’esperienza dell’Accademia si concluse presto perché Vincent non entra in sintonia con i suoi insegnanti con i quali litiga, forse perché vede l’arte in modo diverso da quello che viene tradizionalmente insegnato agli allievi dell’Accademia in quel periodo; torna ad Etten dai genitori. Qui a seguito di una forte delusione amorosa comincia a mostrare i primi segni di una instabilità emotiva, che andrà nel tempo sempre più accentuandosi.
Si reca poi a Nuenen, dove il padre svolge la sua attività di pastore, al fine di accettarne l’aiuto. In questo periodo prende lezioni di Piano, nella convinzione di potere arricchire la sua concezione artistica. È infatti convinto di dover approfondire le relazioni tra musica e colore. Nel 1885, in seguito ad una una violenta lite tra Vincent e suo padre, il padre viene colto da morte improvvisa per attacco cardiaco. Il carattere di Van Gogh diviene sempre più cupo. È questo il periodo in cui dipinge il noto “Mangiatori di patate”.
Iniziano adesso per il giovane pittore dei viaggi importanti per la svolta del suo linguaggio artistico. Ad Amsterdam ha modo di vedere i dipinti di Rembrandt, e ne rimane affascinato. Ad Anversa osserva le opere di Rubens e si invaghisce dei suoi colori. Tutto adesso lo spinge verso Parigi, verso quei pittori che in quel momento stanno rivoluzionando il mondo dell’arte. A Parigi frequenta lo studio di un noto pittore dell’epoca, (noto ma di modesta levatura artistica) di nome Fernand Cormon, ed entra in contatto con Toulouse –Lautrec. Adesso Vincent è sicuro nell’affermare che “Non c’è che Parigi, per quanto la vita qui possa essere dura, e anche se divenisse ancora più dura, c’è l’aria francese, che libera il cervello e fa bene, un mondo di bene!”.
Parigi rappresenta in quel periodo il giusto nutrimento per la sua anima di pittore…. Conosce Pissarro, Signac, Degas, Renoir e Seurat. Le opere pittoriche parigine riflettono proprio i suoi contatti con il mondo dell’impressionismo, anche se Vincent dichiara apertamente nelle sue lettere che il primo contatto con queste opere non è certo positivo, osservando: “ quando si vedono per la prima volta si rimane delusi”.
Successivamente l’artista avrà modo di apprezzare sinceramente le opere degli impressionisti pur non sentendosi tanto coinvolto da mutare le sue concezioni artistiche. Tuttavia è grazie al contatto con gli ambienti impressionisti che cambiano i suoi colori che si fanno via via più luminosi e gioiosi. Cambiano anche le tematiche affrontate. Adesso Van Gogh dipinge nature morte con fiori, e paesaggi. A questo periodo risale l’esposizione al cafè Tambourin. La mostra prevede l’esposizione di alcuni suoi dipinti, insieme a quelli di altri noti pittori dell’epoca come Toulouse –Lautrec e Gauguin. Pare anche che a questo periodo risalga una breve relazione amorosa con la modella di Degas, Agostina Segatori, che gestiva il cafè Tamburin.
Infine, anche Parigi non basta all’animo inquieto di Vincent, che nel 1888 decide di recarsi ad Arles, dove ha luogo l’incontro con la luce del sud, che cambia la sua concezione dei colori ed illumina le sue tele rinnovando anche la sua tecnica nel dipingere che sembra adesso, arricchirsi di nuovi stimoli materici. Affitta un appartamento in Place Lamartine per seguire un suo antico sogno, quello di fondare una comunità di artisti. A questo periodo risale il noto capolavoro dal titolo “La casa gialla” che riproduce il suo modo di vedere l’edificio dove aveva preso in affitto le stanze. Il ritmo di lavoro aumenta in modo esponenziale al fine di sperimentare quelle tecniche diverse, che verranno riprese successivamente nell’ambito di successive correnti artistiche. Adesso l’artista attende con entusiasmo il primo (ed unico) artista che decide di entrare a far parte del suo progetto di fondare una comunità di artisti. Quell’artista è Gauguin.
Su Gauguin, Vincent, aveva riposto tutte le sue speranze. Ma presto l’artista rimane deluso. L’amico non condivide l’entusiasmo di Van Gogh per la Provenza e neanche per i pittori che Vincent amava. A causa delle forti divergenze di opinione sull’arte, presto il presunto sodalizio artistico degenera, fino agli accesi contrasti che lo porteranno allo scontro fisico. Nel Dicembre del 1888 infatti si consuma una furiosa lite che porterà Gauguin a fuggire, per le minacce subite da Vincent, e condurrà Vincent al noto momento di follia nel quale decide di tagliarsi un orecchio. L’orecchio, ben incartato, viene poi recapitato la sera stessa a Rachele, una prostituta da lui frequentata. Dell’accaduto, viene rapidamente avvertito il fratello Theo, che lo salva da morte certa facendolo ricoverare il giorno successivo in ospedale. A dimostrare che il cruento episodio desta ancor oggi molta curiosità, esistono varie ipotesi sulla ricostruzione dei fatti accaduti. C’è chi sostiene (il riferimento è al libro “L’orecchio di Van Gogh. Paul Gauguin e il patto del silenzio” di Kaufmann e Wildegans), che in realtà fu Gauguin a mutilare Van Gogh. Quale che sia la verità, il tragico evento segna indelebilmente la mente di Vincent, che non sarà più come prima.
Da questo momento ha inizio per l’artista un periodo di ricoveri per problemi psichici, durante i quali però, non smetterà mai di dipingere. A Saint-Rèmy addirittura, grazie alle richieste fatte alla casa di cura dal fratello Theo, Vincent Van Gogh può utilizzare una stanza tutta sua per dipingere e non gli viene neanche preclusa la possibilità di uscire, per realizzare dipinti all’aria aperta. Successivamente si recherà ad Auvers-sur-Oise, per affidarsi alle cure del dottor Gachet, esperto nella cura di malattie mentali. In questo periodo dipinge moltissimi quadri ed alterna momenti spensierati ad altri di profonda solitudine. Nel mese di Luglio del 1890, dopo essersi recato in campagna, Van Gogh si spara un colpo di pistola. Non muore immediatamente, ha il tempo di tornare al suo alloggio dove viene poi raggiunto dal fratello, che lo vedrà morire. Aveva appena finito di dipingere uno dei suoi quadri più famosi, il noto “Campo di grano con corvi”, che ci racconta meglio di qualsiasi racconto, quali sono stati i suoi ultimi pensieri, le sue ultime sensazioni intrise di angoscia, paura e al contempo devozione, per il mistero di una natura che con la sua arte aveva tentato tante volte di sondare.
Il modo di intendere l’arte di Van Gogh può certamente dedursi da alcune delle numerosissime lettere inviate al fratello Theo. Una delle frasi più interessanti è quella dove il pittore manifesta ciò che intende ottenere con la sua pittura: non il “disegno di una mano, ma il suo gesto”.
L’arte pittorica era quindi per Vincent Van Gogh, molto di più che un riprodurre ciò che si vede. L’artista mirava a rappresentare la realtà attraverso ciò che sentiva e lo faceva avvalendosi di una sua particolare tecnica, che anticipa molte correnti artistiche successive. Osservando le tele di Van Gogh in effetti ci accorgiamo che è facile intuire il movimento della mano del pittore mentre realizza i suoi quadri. Quel rapido movimento del pennello, che si muove a tratti, quello spremere il tubetto direttamente sulla tela, dimostra una energia ed una immediatezza di espressione, che denotano il furore e la necessità dell’atto creativo.
Analizziamo brevemente qualche opera dell’artista, per ricostruire le tappe fondamentali del suo percorso artistico, partendo da un dipinto dell’estate del 1886: il soggetto è un vaso di fiori e precisamente un “Vaso con astri e phlox”. È un dipinto concepito a Parigi che mostra uno dei soggetti cari a Vincent in quel periodo. La sua gamma cromatica si arricchisce di colori e il suo carattere si sintonizza con essi, rivelando un entusiasmo che si riflette anche nei frenetici ritmi lavorativi. A Parigi Van Gogh dipinse infatti più di quaranta dipinti aventi come soggetto i fiori. Questi fiori sono quasi sempre già sbocciati, anzi prossimi alla fine, e in questo labile confine con la vita, manifestano tutta la loro effimera bellezza. Non c’è squallore in questo, anzi, la natura dimostra di esibire la propria armonia anche nei fiori disfatti. “Due girasoli recisi” è dell’estate successiva. Qui si trova un tema caro a Vincent, i girasoli appunto. Accosta due colori complementari che conferiscono grande luminosità al dipinto. I girasoli mostrano corolle ingigantite, come se il pittore volesse indagarne la struttura, scoprirne i meccanismi generativi.
Nel 1888 realizza il noto “Autoritratto da pittore”. È importante a questo punto, operare il confronto con un altro autoritratto, quello del 1886 denominato “Autoritratto con cappello di feltro scuro”. È infatti emblematico che il successivo autoritratto sia stato qualificato come ritratto “da pittore” quasi a voler sottolineare la consapevolezza di avere ottenuto un linguaggio personale, tale da potersi finalmente definire con orgoglio “Pittore”. In due anni il linguaggio pittorico di Van Gogh si è effettivamente evoluto, al punto tale, che solo nel secondo dipinto, riconosciamo davvero la tecnica di Vincent, la sua reale espressione artistica. Nel “Ritratto da pittore” Van Gogh realizza una analisi di se stesso, uno studio psicologico che nessun altro mezzo se non la pittura avrebbe potuto effettuare. Il riferimento è qui alla fotografia e ai limiti che, ad avviso del pittore, essa possedeva rispetto alla ricerca pittorica di un artista. A riprova di tale parere esiste la corrispondenza con la sorella, alla quale Van Gogh esprimeva il suo parere sulla fotografia che vedeva come mezzo privo di reali capacità di introspezione psicologica dei soggetti. Vuole forse tradurre questa sua opinione quando realizza il suo ritratto da pittore, che manifesta chiaramente quale fosse il suo stato d’animo in quel periodo. Uno stato d’animo intriso di malinconia e solitudine. In tal senso sarebbe interessante pensare davvero che la foto recentemente ritrovata (vedi sopra), possa essere la sua e che suo sia stato davvero l’intento di dimostrare un confronto tra pittura e fotografia. Il confronto sarebbe servito a sperimentare le sue dichiarazioni e troverebbe così fondamento l’ipotesi di A. Martinez Ron, che immagina un uso della foto da parte di Vincent per fare il ritratto esposto alla Gare d’Orsey. Del resto pensare che in quel periodo di confronto serrato tra arte e fotografia, se ne sia sottratto proprio Van Gogh, che amava sperimentare ed indagare, che aveva contatti con gli impressionisti, che aveva lavorato nel settore dei mercanti d’arte, sarebbe in fondo improbabile.
Comunque, ritornando allo sguardo malinconico espresso nell’autoritratto, è probabile che il pittore si sia successivamente recato in Provenza proprio per il sopraggiungere di una forte malinconia. In Provenza, le sue tele si riempiranno nuovamente di luce e di colori, ma questa volta saranno i colori del Sud. Di questo periodo è utile ricordare “Il raccolto nella piana della Crau”, dove vediamo il colore giallo declinato in tutte le possibili gamme per riprodurre la varietà del campo di grano, quello piegato, quello già raccolto, quello ancora da mietere. E poi i segni del lavoro dell’uomo, i covoni, l’aratro, i recinti, le case.
Tutto cambia poi nei dipinti successivi alla data del Dicembre 1888, quanto si verifica la furiosa lite con Gauguin che lo conduce alla automutilazione di un orecchio. Un dipinto dal titolo “Autoritratto con l’orecchio bendato” mostra Vincent con la parte ferita coperta da una benda, lo sguardo profondamente malinconico, un cappotto verde ed un cappello. Lo sfondo è invece rosso, quasi a volere ricordare la violenza esercitata sull’amico e su se stesso. Nel ritratto il pittore sta fumando una pipa, e il fumo si diffonde intorno tracciando dei cerchi, che ne evocano il modo di diffondersi nello spazio circostante. Complessivamente ha l’aspetto di un soldato che mostra una ferita di guerra. È la ferita di una guerra tutta personale, giocata al limite della follia. Il contrasto tra lo sguardo profondamente triste e il gesto di fumare, (che pare ostentare sicurezza) lascia allo spettatore un senso di disagio. Il pittore non vuole la pietà di chi lo osserva, ma vuole probabilmente fissare solamente il suo stato d’animo di quel momento per potersene appropriare e per metabolizzare il dolore. Sembra essere più che altro un dialogo con se stesso, al quale noi assistiamo, senza essere invitati.
Attraverso il confronto con il dipinto del giugno del 1888, dal titolo “ Raccolto nella piana della Crau”, con “Campo di grano con mietitore” dell’anno successivo, notiamo come il dipinto del 1889, ci dimostri come le cose siano in effetti cambiate. Il movimento del grano scosso dal vento non è che un riflesso del vento interiore che scuote l’animo dell’artista che non riesce più a trovare un ordine interiore come quello espresso nel “Raccolto nella piana della Crau”. Il campo sembra difficile da domare e il lavoro dell’uomo, il mietitore, sembra davvero arduo, nel tentativo di ridurre in fasci l’immensa distesa di grano.
Nel Luglio del 1890 realizza il suo ultimo dipinto. “Campo di grano con corvi”. I corvi sembrano staccarsi dalla parte superiore del cielo eccezionalmente scuro e piovere violentemente sul campo giallo di grano. Il grano appare però spezzato, e mostra una strada che si biforca. Si riconoscono due note chiare nel cielo che sembrano esercitare sul grano la stessa forza attrattiva che la luna ha sul mare.
Osservando il dipinto emerge immediato quel senso di inquietudine che di lì a poco prevarrà sul già instabile equilibrio del pittore. Van Gogh si suiciderà poco dopo, portando a conclusione insieme alla sua vita, una delle avventure artistiche più interessanti dell’arte del 1800.