Paul Gauguin
(Parigi 1848-1903)
Alla ricerca della “vita semplice”
“…Lasciò l’Europa per trasferirsi in una delle favolose isole dei mari del sud, Tahiti, alla ricerca della vita semplice. Infatti era sempre più persuaso che l’arte corresse il pericolo di diventare troppo tecnicamente abile ed esteriore, che tutta la conoscenza accumulata in Europa avessero privato gli uomini del massimo dei doni: la forza e l’intensità del sentimento e la capacità di esprimerlo in forma diretta”. Queste considerazioni di E. Gombrich su Paul Gauguin lasciano trasparire come, da sempre, la vita priva di regole di Gauguin e la sua arte siano state lette contemporaneamente, come se esistesse una sorta di legame indissolubile tra la sua vita e la sua arte, dimostratasi capace di portare più volte l’artista a compiere scelte estreme.
La sua forte propensione al cambiamento, e ad affrontare sempre nuove esperienze di viaggio, ha forse origine nell’infanzia, quando, rimasto orfano di padre, si trova a viaggiare verso il Perù. In Perù Gauguin fa le sue prime fondamentali esperienze, poiché vi rimane quel tanto che basta per diventare un uomo, prima di recarsi nuovamente a Parigi, sua città d’origine.
Presto Gauguin entra in contatto con il mondo del lavoro. Diventa un marinaio, e la vita in mare lo conduce ad incontrare nuovi mondi, grazie alle soste nei porti, che alimentano la sua sete di conoscenza e, probabilmente, anche il suo personale gusto artistico, che tuttavia ancora non esprime. Al mondo dell’arte Gauguin infatti si accosta solamente dopo il 1870, quando, congedatosi dalla posizione militare acquisita in mare, si stabilisce nuovamente a Parigi. Qui Gauguin, per un certo periodo conduce una vita regolare. Ha una moglie e lavora come agente di cambio. In seguito ad una pesante crisi economica perde il lavoro e decide di dedicarsi alla pittura. A Parigi entra in contatto con gli impressionisti e partecipa ad alcune mostre da loro organizzate. Gli esordi dell’artista sono infatti legati al gruppo degli impressionisti ma, di certo, quello che Gauguin cercava non era quello che in quegli anni esprimevano gli impressionisti.
In comune c’era l’interesse per le stampe giapponesi, che in quel periodo invadevano letteralmente i salotti di Parigi. La potenza espressiva legata alla massima sintesi di forme e di colori, le tinte piatte stese a larghe campiture, derivano tutte dalle suggestioni evocate dalle stampe giapponesi, tuttavia Gauguin aggiunge un elemento in più, il valore attribuito al colore, che si svincola dalla rappresentazione del reale.
L’abitudine invece di circondare i suoi soggetti di una spessa linea di contorno scura Gauguin la deriva dall’amico Bernard. Questa particolare tecnica espressiva è detta cloisonnisme, e riprende il termine cloisonné, relativo all’uso del contorno nero che legava materialmente i pezzi che componevano le figure di vetro colorato, fatto nelle vetrate delle antiche cattedrali gotiche.
La vita stabile comunque dura poco e Gauguin ricomincia a viaggiare… Nel 1885 parte alla volta di Pont-Aven. Ma è il viaggio del 1887 che segna in qualche modo la futura direzione della sua vita, quando si reca in Martinica ed entra in contatto con quelle culture diverse che forse fanno riaffiorare in lui gli antichi echi della sua formazione peruviana.
Successivamente lo troviamo insieme a Van Gogh, a condividere il sogno della vita dell’amico: fondare una casa per artisti nel sud della Francia. Ma il sodalizio durò poco, ed una violenta lite (che sfociò nel famoso taglio dell’orecchio di Van Gogh, taglio che l’artista si provocò da solo), mise fine al sodalizio e spinse Gauguin a ritornare a Pont-Aven.
Il dipinto dal titolo “Il Cristo giallo” del 1889 è esemplificativo dei risultati raggiunti da Gauguin nell’innovazione del linguaggio artistico: il colore che diventa espressivo di una condizione del soggetto dipinto, (in questo caso il giallo che si armonizza con il paesaggio naturale che si dispiega alle spalle della Croce), e il contorno scuro, che stacca la figura dallo sfondo e fa in modo che la campitura uniforme sottolinei il carattere bidimensionale dei soggetti.
Nel 1891, stanco della vita che conduceva e desideroso di nuovi orizzonti da concedere a se stesso e alla sua arte, decise di partire. Questa volta però era diverso. Partì con l’idea di non ritornare, di spezzare tutti i legami con la vita di tutti i giorni e più che un viaggio, quella che volle organizzare, fu una vera e propria evasione. Vendette tutto ciò che possedeva e si trasferì a Tahiti. Un ritorno tuttavia vi fu. E fu nuovamente a Pont-Aven.
Nel 1895 Gauguin ritorna a Tahiti e nelle isole Marchesi. Questa volta per sempre visto che l’artista morì nel 1903 e non fece più ritorno in Europa “Parau Api. What News” realizzato nel 1892, presenta ulteriori elementi di novità rispetto alle opere realizzate a Pont-Aven. Le donne sono adesso decisamente monumentali, i loro corpi sono solidi e esprimono una solennità di tipo statico che rinuncia al movimento, anzi, è lo stesso Gauguin ad affermare che in arte è opportuno evitare il movimento e realizzare delle figure “statiche”.
Una delle opere più discusse di Gauguin è “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”. Una tela conclusa nel 1898, oggi esposta al Museum of Fine Arts. Tra l’inizio di questo dipinto e la sua conclusione si inserisce un tentativo di suicidio compiuto dall’artista. Le dimensioni allungate in senso orizzontale della tela invitano l’osservatore a leggerlo quasi come un racconto. Alcune parole espresse riguardo questa opera, scritte dallo stesso Gauguin, possono offrire spunti interessanti di lettura. L’artista infatti non spiega il significato del quadro, che lascia alla libera interpretazione di chi vede, ma indica semplicemente l’atteggiamento assunto da alcuni personaggi. Fa riferimento, ad esempio alla presenza dell’uomo con il braccio alzato sulla testa, che guarda attonito due figure che adire dell’artista “osano pensare al loro destino”.
Ci accorgiamo inoltre che un messaggio è insito anche nel valore cromatico stesso delle figure. In primo piano infatti sembra essere mostrata l’umanità, con un colore caldo e una consistenza concreta. In secondo piano invece sembrano agire delle figure che non hanno una concretezza materiale, ma che sembrano volersi riferire alla dimensione spirituale dell’uomo. Questo muoversi su due livelli è sottolineato anche dalle azioni che svolgono i personaggi: Si nasce, si colgono i frutti della vita e si consumano, infine si invecchia e si conclude il proprio percorso, anzi si “completa la storia” per volere usare le parole dello stesso artista, “quando si è placati e persi nei propri pensieri”. Infine Gauguin concludeva la sua descrizione dicendo che “l’uccello bianco che tiene una lucertola con gli artigli rappresenta la vanità delle parole”. In questa ultima descrizione sta forse il significato dell’intero quadro che sembra uno dei più enigmatici del secolo. Sembrerebbe che il pittore voglia dire che qualsiasi sia il tipo di attenzione che l’uomo rivolge al significato del suo essere al mondo, sia essa di tipo religioso, come indica l’idolo con le braccia alzate, o speculativo, come sembrano indicare le due figure che passeggiano colloquiando,( e che riecheggiano l’atteggiamento di due filosofi) non si potrà mai pervenire alla verità. Ecco perché quella figura intermedia guada attonita chi “osa” pensare al proprio destino.
Guardando il dipinto ci rendiamo conto che in fondo Gauguin cercava solamente di pervenire alla verità, e voleva farlo attraverso la sua arte. In prossimità di quella che lui percepisce essere la fine della sua vita, (l’artista morirà dopo soli cinque anni), comprende che pervenire alla verità è impossibile. Che né la religione né tutte le teorie filosofiche del mondo potranno illuminarci. Che tutta la sua ricerca in fondo si ferma lì, in quel dipinto che certamente costituisce il suo testamento spirituale, e che ancora oggi noi sentiamo come un messaggio profondamente sentito, come l’esito della fine di un percorso travagliato ed entusiasmante come tutta la sua vita.