Pablo Picasso
(Málaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973)
Scrive E.Gombrich nella sua “Storia dell’Arte”: “A diciannove anni si era recato a Parigi, dove aveva dipinto soggetti che sarebbero stati graditi agli espressionisti: mendicanti, reietti, vagabondi e artisti del circo equestre. Ma non era soddisfatto, e prese a studiare l’arte primitiva sulla quale Gauguin e forse anche Matisse avevano attirato l’attenzione. Possiamo immaginare ciò che apprese: imparò come sia possibile costruire l’immagine di un volto o di un oggetto con pochi semplicissimi elementi, il che era qualcosa di diverso dalla semplificazione visiva praticata dagli artisti precedenti (…) Rise di quanti vollero capire la sua arte. “Tutti vogliono capire l’arte. Perché non cercare di capire il canto di un uccello?” . Certo aveva ragione. Nessun quadro può essere pienamente spiegato a parole. Ma le parole a volte servono come utili frecce indicative, aiutano a sgombrare il terreno dai malintesi e se non altro ci possono dare un indizio della situazione in cui si trova l’artista”.
Queste utili frecce indicative cercherò di segnare in queste poche pagine su Picasso. E sarà la mia interpretazione di Picasso. Potrà essere condivisa…Ma ci sarà sempre qualcosa di diverso anche in chi crederà di rispecchiarsi pienamente nel mio pensiero. Perché, se si terrà conto dell’opera insieme alle parole, come è giusto che sia quando si parla di arte, la personale percezione del fruitore veicolerà il messaggio dell’autore del quadro verso luoghi diversi della sua coscienza. L’arte del XX secolo infatti mira ad essa, ed è per questo che agisce soggettivamente. Ed è per questo che spiegarla significa solo poter fornire alcune tra le tante facce di una stessa realtà. Un po’ come Picasso ha fatto, nel tradurre la sua idea degli oggetti su una tela bianca.
Pablo Picasso, prese il suo cognome dalla madre. Il suo nome per intero è infatti quasi uno scioglilingua: Pablo Diego Josè Francisco de Paula Juan Nepomuceno Crispin Crispiano de la Santissima Trinidad Ruiz y Picasso. Ma a pronunciarlo è musicale….. e la sua opera sarà come musica; la chitarra, simbolo dell’anima popolare, ricorrerà spesso nelle sue opere evocando il corpo delle donne, ispiratrici e dee dell’arte di Picasso.
Picasso amava la vita, le donne, le città. Picasso in fondo incarna il mito dell’artista poiché ha vissuto come la gente presume che un artista debba vivere, per essere davvero considerato tale. L’arte e la vita unite in un unico anelito poetico.
Eppure Picasso è stato un uomo che ha viaggiato tantissimo… che ha frequentato gli ambienti esclusivi degli intellettuali e dei collezionisti dell’epoca. Che ha frequentato i mercanti d’arte e ha difeso le sue idee anche con impeto politico. Per questo motivo la sua immagine si confonde tra quella del Bohémien squattrinato e quella dell’intellettuale anticonformista. Tra l’artista puro e l’uomo di successo.
Nasce a Malaga nel 1881. Sembra che Pablo venne considerato morto subito dopo la nascita, messo da parte in un tavolo, e che dopo venne salvato da un medico che si accorse che il bimbo era ancora vivo. Chissà che strada avrebbe preso l’arte contemporanea senza di lui. C’è da chiederselo. Perché davvero, a volte, alcune figure di artisti hanno la capacità di piegare la linea dritta dell’arte verso nuove direzioni. Una di queste figure fu Pablo Picasso.
Il padre era professore di Disegno e fu lui ad avviarlo precocemente al mondo dell’arte. Picasso già a otto anni dipingeva e, nel 1895, viene ammesso all’accademia di Belle Arti di Barcellona, città con la quale manterrà sempre degli intensi contatti. A diciotto anni a Barcellona Picasso fa già parte della cerchia degli intellettuali ed artisti. Ancora una volta sarà un caffè, (come già era accaduto agli impressionisti) a fungere da luogo di incontro degli artisti: il caffè El Quatre Gats presso la Piazza Catalunya. Le coeve opere di Munch, di Toulouse-Lautrec, erano gli argomenti di discussione, ma anche la politica, quella del socialismo e la stessa anarchia erano concetti vicini ai giovani artisti. Le opere di Gaudì, e il modo di stravolgere l’architettura dell’architetto spagnolo, saranno una rivelazione per il giovane Picasso che nel 1900, ricco dell’esperienza di Barcellona si recherà a Parigi. Altra città dell’anima picassiana sarà infatti proprio Parigi, che rappresenterà per il giovane Picasso la piattaforma dalla quale potrà spiccare il volo. Vi resterà dapprima solo pochi mesi. Di questo periodo è il celebre quadro “Le Moulin de la Galette” (1900), dove Picasso fornirà una propria interpretazione della vita parigina dei cafè-chantant. È sbagliato dire che ancora Picasso non abbia trovato con quest’opera un suo stile…. Picasso in realtà non avrà mai uno stile preciso, e la sua produzione sarà suddivisa in periodi solo per scandire dei passaggi tra una ricerca e un’altra. Picasso infatti sarà in perenne ricerca, anche da vecchio.
L’opera “Le Moulin de la Galette”, rivela già tutta la sua potenza espressiva nei contrasti cromatici. Una vitalità espressiva che sarà una costante picassiana anche nei periodi dove abbandonerà il colore. Perché in quei casi sarà la forma, l’evocazione data dai soggetti a dare il senso della potenza evocativa. La città di Parigi darà a Picasso l’ispirazione di passare dalle composizioni aspre e stridenti raggiunte attraverso un certo uso dei colori, al “Periodo Blu”. Il Periodo Blu, (il cui inizio si colloca nel 1901), costituisce per Picasso la fase in cui la sua pittura predilige le tinte fredde. Le sue opere sono pervase da una decisa malinconia. I soggetti sono i poveri e gli emarginati.
Nel 1903, Picasso, si troverà nuovamente a Barcellona dove realizzerà alcune tra le sue più belle opere del Periodo Blu: “Poveri in riva al mare“ è proprio del 1903. Le figure appaiono come allungate. La linea di contorno le stacca dallo sfondo e ne accentua la monumentalità; le figure , un uomo, una donna e un fanciullo sembrano quasi colonne classiche, nell’esprimere la dignità della loro condizione. La donna vista di spalle richiama la solidità volumetrica espressa da Giotto. Al periodo Blu succederà quello “Rosa”. Il Rosa è anche questa volta suggerito da Parigi, ma riflette un periodo di maggiore felicità creativa del Pittore che intanto ha deciso di trasferirsi presso il noto Atelier del Bateau-Lavoir, un piccolo edificio parigino oggi, putroppo, non più esistente.
Parigi a quei tempi è per gli artisti il centro delle novità, la fonte di ispirazione, la casa dove crescere e alimentarsi. Vi si trovano sia l’atmosfera che i contatti, e la collina di Montmatre (la Butte), è diventato il quartiere che più di ogni altro si presta ad accogliere giovani spiriti votati alla vita di artista. A quei tempi la butte era come un piccolo villaggio, non essendo ancora inglobata dalla città.
Ai personaggi del Periodo blu subentrano gli arlecchini e i personaggi del mondo del circo. Permane in essi sempre una sottile malinconia che questa volta, non essendo espressa dal colore, emerge dagli sguardi, e dalle situazioni. La tecnica di Picasso si evolve adesso verso un interesse per il volume e lo spazio, che viene reso mediante larghi piani compositivi. Sembra che pian piano l’artista vada verso nuove strade… ma in realtà ciò non accade sempre gradualmente… La produzione di Picasso a volte si evolve anche con decisi stacchi. Nel 1906, il “Ritratto di Gertude Stein”, scrittrice americana, costituisce una vera e propria svolta nell’arte di Picasso. La stessa Stein affermerà che il Periodo rosa di Picasso sia finito proprio in coincidenza con il suo ritratto. Si attua una vera e propria decostruzione delle regole convenzionali della rappresentazione artistica e pare proprio che Picasso adesso voglia ritrovare una propria autonomia pittorica. Le forme diventano spigolose. La prospettiva viene negata.
Si avvicina l’epoca in cui Picasso si ispirerà all’arte negra. Un insieme di elementi emergeranno prepotentemente insieme: preponderante sarà adesso l’influenza di Cézanne. Picasso giungerà alla elaborazione di un’opera che segnerà una svolta nell’arte del XX secolo, “Le demoiselles d’Avignon” del 1907. Si tratta di un olio su tela di 2,45 m.per 2,35, ora conservato a New York, al MoMA. Osservato ai raggi X mostra dei ripensamenti riguardo i visi delle donne. La semplificazione dei volumi dei corpi si estende allo spazio circostante che viene come “materializzato” e quindi scomposto secondo una serie di piani che sembrano delimitarlo e scandirlo. Le figure femminili sembrano compenetrate dallo spazio e la tradizionale differenza tra contenitore – lo spazio- e contenuto – le figure – viene come annullata. Le maschere africane influenzano decisamente i volti di alcune figure, e l’insieme risulta come un accostarsi di concetti diversi, che ad una prima osservazione crea come un senso di sconcerto e dissonanza. La stessa sensazione che provarono i primi osservatori dell’opera, gli amici di Picasso, che si dichiararono turbati da quell’opera di Pablo, se non addirittura offesi. Per molto tempo il quadro venne offerto alla visione di pochi e nel 1920 venne acquistato da J.Doucet. Nel 1937 venne esposta alla esposizione di Parigi Al Petit Palais. In origine l’opera aveva un altro titolo: “Le bordel d’Avignon”, dal nome di una via di Barcellona dove ai tempi si trovavano una serie di case d’appuntamento. L’opera infatti doveva all’inizio rappresentare l’interno di una di quella case chiuse con cinque donne e uno studente con un pacchetto sotto il braccio. Doveva esservi anche un uomo al centro con un teschio in mano. Tutto ciò mirava a richiamare il tema della morte. Le elaborazioni successive condussero Picasso a rappresentare l’opera privandola di tali riferimenti simbolici. Le “Demoiselles” si pongono così alla radice del cubismo, anche perché le prime opere davvero cubiste saranno quelle che Picasso concepirà in seguito al soggiorno a Horta de Ebro, in Spagna, presso Terragona. Si tratta di paesaggi con case che ricordano molto le opere di Cézanne; in “Fabbrica a Horta de Ebro” del 1909, l’artista lascia sempre più il colore per ricorrere a delle forme geometriche stilizzate. Questa tendenza sarà criticata da Vauxcelles come un insieme di piccoli cubi. Sarà poi Vauxelles a parlare per primo di cubismo in relazione ad alcuni dipinti presentati da Braque al Salon des Indépendants. Picasso e Braque… I due amici intrapresero uno scambio fittissimo di idee e progetti pittorici e vollero che la loro arte si ponesse agli occhi dell’osservatore come indistinguibile; firmavano le loro opere solo sul retro poichè volevano sperimentare un metodo artistico il più possibile impersonale. Dal 1910 fino al 1912 i dipinti dei due artisti mostreranno una spiccata tendenza alla monocromia. L’apparenza prospettica scompare del tutto come la larghezza di piani e volumi. Si inaugura il periodo del “Cubismo analitico”. La ricostruzione ideale del volume adesso seguirà solo l’intuizione dell’artista. Nel “Ritratto di Ambroise Voillard”- del 1909, il soggetto ritratto, il mercante d’arte e amico di Picasso, viene posto sullo stesso piano dello sfondo. Tale opera è esemplificativa di questo momento artistico. Si vuole giungere alla conoscenza del soggetto, mettendo in evidenza solo le caratteristiche più significative. Non si tratta però della conoscenza visiva, ma di quella che mira all’essenza.
Le ricerche condotte dai due artisti porteranno presto all’espressione più compiuta del cubismo: passando dal cosiddetto cubismo “analitico” infatti, giungeranno a quello “sintetico”, che si colloca tra il 1912 e il 1913. Il particolare veristico ora caratterizzerà l’oggetto e la struttura, non è una scelta a carattere naturalistico, ma concettuale. Non si deve perciò pensare ad un nostalgico ritorno ai valori descrittivi! Al frammento riconoscibile, presente nelle opere analitiche, ora si aggiunge la materia in sè. Occorre infatti adesso trovare dei riferimenti che riconducano l’osservatore alla realtà, per contrapporsi all’astrattismo che in questo periodo, si va sempre più diffondendo. Per questo motivo Picasso e Braque, inseriscono numeri e lettere all’interno delle loro opere pittoriche. Per questo Picasso, in seguito, inserirà anche dei materiali veri, non più simulati, che potranno richiamare la realtà meglio di qualsiasi altra cosa, perché essi stessi fanno parte della realtà, anche se decontestualizzata. “Natura morta con sedia impagliata” è del 1912. L’impagliatura della sedia è simulata attraverso l’incollaggio di una tela cerata che riproduce l’impagliatura stessa. Il soggetto rappresentato, – la sedia impagliata- viene richiamato dalla apposizione di un materiale che è la tela cerata,- materiale vero-. La differenza tra realtà e rappresentazione di essa e i loro reciproci rapporti divengono così i veri protagonisti dell’opera, che si avvale di un gioco di rimandi tra soggetto e fruitore.
Equivalenza del segno della forma e del colore con l’immagine la materia e l’oggetto. Il cubismo subirà poi gli effetti della Guerra. Molti artisti tra cui Braque saranno costretti a partire. Braque dalla I guerra mondiale tornerà nel 1916, dopo una brutta ferita alla testa. Il sodalizio che aveva determinato la nascita del cubismo ebbe fine.
Anche Picasso subirà ad un certo punto della sua vita, come è successo ad altri artisti il fascino della classicità in seguito ad un viaggio a Roma. È il 1917. Picasso conoscerà Olga Koklova, sua futura moglie. Si dedicherà a dipingere prosperose “Bagnanti”… Si tratta di nudi monumentali: le figure recuperano una volumetria che appare massiccia e solenne. Esemplificativa di questo periodo è la tela di grandi dimensioni dal titolo “Grande Bagnante” del 1921.
Negli anni trenta Picasso si dedica anche alla scultura…. I soggetti preferiti sono adesso le tauromachie e scene di vita privata, donne davanti allo specchio, che leggono o che scrivono. Nel 1937 le notizie del bombardamento di Guernica sconvolgono l’Europa. Picasso non può che accogliere la notizia dell’atroce atto di violenza e tradurlo in arte. La grande tela dal titolo “Guernica” oggi esposta a Madrid, al Centro de Arte Reina Sofia, è una denuncia. Rappresenta il momento drammatico del bombardamento. Le grandi dimensioni dell’opera , 3,51 per 7,82 m. vogliono dimostrare l’immensità del dolore subito dagli abitanti di Guernica e coinvolgere l’osservatore nella scena, come se si svolgesse dinnanzi a lui. L’opera non ha colore: un tragico bianco e nero pervade di angoscia chi lo osserva. In Guernica manca anche il senso del rilievo conferito dal chiaroscuro. Le linee sono nette, crude come la verità di quell’atto efferato. Le forme sembrano affastellarsi in una composizione disordinata. L’artista vuole dare il senso del caos, ma non di quello che genera il movimento, bensì quello che deriva dall’abbandono della ragione. La figura dell’ibrido, simbolo della barbarie, cui ricorrevano i greci nelle metope del Partenone per rappresentare l’ignoranza dei barbari e la tracotanza di chi è privo della ragione, è esemplificata in alto, quasi a dominare la scena. L’ambientazione è contemporaneamente interna ed esterna a simboleggiare lo scoppio della bomba che porta tutta l’intimità della gente all’esterno. Edifici in fiamme e una lampada che pende ancora da un soffitto. Uomini, donne e animali accomunati dall’orrore che ha di fatto spezzato le loro vite. Una donna tiene tragicamente in braccio il corpo esanime del suo bambino e leva le sue urla di dolore al cielo… Ma il cielo è grigio. Ha perso la luce e i colori. Al centro campeggia l’immagine di un cavallo, simbolo di forza creativa, del popolo spagnolo, della libertà. Simbolo, di ciò che tutte le guerre uccidono. Una donna illumina la scena con una lampada a petrolio come se tutto tornasse indietro… la civiltà, la cultura il progresso non hanno potuto fermare niente: la barbarie riemerge con il suo carico di violenza irragionevole. Ieri come oggi. Nonostante i progressi della tecnica, quelli della cultura. Nonostante l’arte.
Questa sconvolgente, commovente e meravigliosa opera emerge quindi da un fatto storico la cui drammaticità è tutta lì, disponibile, per chi ha la sensibilità di accoglierla e comprenderla. E’ una reazione immediata, elaborata quasi di getto, all’atroce bombardamento subito dalla cittadina di Guernica. Picasso vuole portare questo evento direttamente alla coscienza oltre che alla conoscenza del mondo civile. Ci riesce talmente bene che, anche se la strage di Guernica è lontana nel tempo, ancora oggi osservando l’opera di Picasso, il dramma emerge attuale, come fosse accaduto ieri.
Dopo Guernica, la società ha conosciuto l’orrore di una guerra che adesso sembra segnare un punto di non ritorno: è la seconda guerra mondiale: l’orrore diventato sistema. La violenza, il metodo.
La reazione degli artisti è varia. Picasso, che ha trascorso a Parigi tutto il periodo della Guerra, cercò di fornire il suo contributo alla pace con la sua arte, come antidoto alle irragionevoli efferatezze, come supporto alle più sane ragioni di vita dell’uomo. E questo lo fece a suo modo attraverso la condanna alla violenza, la ricerca intellettuale, l’amore per una delle più sublimi manifestazioni umane: l’arte.
Alla fine del conflitto dichiarerà: “non ho mai considerato la mia pittura come arte destinata a procurare piacere, come evasione; ho voluto con il disegno e con il colore perché quelle erano le mie armi, penetrare sempre più a fondo nella coscienza del mondo e degli uomini, in modo che questa conoscenza ci possa condurre ogni giorno più avanti sulla strada della libertà….”. Picasso morirà nel 1973. La sua fama ormai si era diffusa ovunque. Il Pittore non abbandonò mai tuttavia una certa ironia e verso gli ultimi anni della sua vita dichiarò: “A tredici anni dipingevo come Raffaello. Ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Il suo sguardo intenso conservò per sempre la curiosità di un fanciullo dinnanzi alla vita.