Egon Schiele
(Tulln, 12 giugno 1890 – Vienna, 31 ottobre 1918)
Espressionismo Austriaco
L’espressionismo trovò in Austria un terreno fecondo attraverso le personalità di Kokochka e Schiele. Dei due però sicuramente Schiele appare essere l’interprete più sottile dell’angoscia esistenziale dell’uomo. Schiele morì appena ventottenne falciato dall’epidemia di spagnola, nel 1918; il suo grande genio creativo ebbe tuttavia modo di esprimersi nei pochi anni che lo videro dedicarsi alla pittura.
Per comprendere i dipinti di Schiele occorre guardare alla sua personale visione del mondo. Una delle sue affermazioni più note era che “tutto ciò che sta vivendo è già morto”, e quindi tutto ciò che emerge dai suoi dipinti risente di questo suo concetto. Una delle opere più emblematiche in tal senso è senza dubbio “la morte e la fanciulla”, anche se la sua visione negativa della vita si riflette con ancora maggiore efficacia nei temi che più di altri dovrebbero esaltare la vita.
Il dipinto dal titolo “La famiglia” del 1917 è infatti quello che più di ogni altro riesce a esprimere l’angoscia esistenziale di Schiele. L’artista tratta il tema della famiglia in modo del tutto inedito.
La protagonista assoluta del dipinto appare essere la donna vista come nell’atto di generare con le gambe aperte, al centro delle quali spicca la figura di un bambino. Lo sguardo della donna tuttavia non è rivolto all’osservatore ma è come perso nel vuoto, come se guardasse malinconicamente alla sua condizione cosciente dell’ineluttabilità di un ruolo al quale è impossibile sottrarsi.
In secondo piano è la figura dell’uomo padre, nel quale riconosciamo un autoritratto del pittore stesso. L’uomo è rivolto all’osservatore, ma ha assunto una posa quasi scimmiesca che lo riconduce ad una ancestrale animalità. I toni sono cupi, i colori usati pochi, è quasi un monocromo. Tutto invita ad una riconsiderazione del tema della famiglia che mai prima d’ora era stata vista in modo talmente disincantato e dissacrante.