Crisi del razionalismo
Dopo la II guerra mondiale le tendenze architettoniche si arricchiscono di molte sfaccettature. I grandi protagonisti del periodo precedente maturano nuovi concetti che non tarderanno a diventare il seme di nuove tendenze che si svilupperanno nei primi anni della II metà del XX secolo. Contemporaneamente però si creano quei presupposti che determineranno la crisi del razionalismo e del funzionalismo. Nel II dopoguerra si assisterà quindi ad una sorta di sconfitta del Movimento Moderno, la cui origine scaturirà da una eccessiva banalizzazione e diffusione di alcuni postulati propri del movimento. Paradossalmente, la crisi partirà proprio a causa del successo dilagante ottenuto in ragione delle condizioni socio-culturali createsi in questo periodo storico. Essendosi sviluppato in origine, come un modo di superare l’accademismo stilistico, il linguaggio architettonico aderente ai principi del razionalismo e del funzionalismo, si avviò verso un progressivo degenerarsi delle motivazioni iniziali che lo avevano sostenuto.
Nel 1950 l’America si affiancava come un centro di sviluppo della cultura architettonica a quelle nazioni che fin ora ne avevano detenuto il primato. Mies van der Rohe sarà uno dei protagonisti indiscussi. Anche in Europa, prevarrà per le architetture di tipo pubblico, una tendenza più vicina allo stile lineare e puro delle forme di tipo razionalista. Tale scelta formale era inoltre agevolata dalla necessità di ricostruzione generatasi in conseguenza delle distruzioni di interi contesti operatesi durante il II conflitto. In questo periodo comincia a prevalere la necessità dell’ampliamento delle città. Emergono cioè nuove necessità di pianificazione, che si ispirino a principi di funzionalità e rapidità. In alcuni casi si trattava infatti di mettere in piedi dei veri e propri piani di ricostruzione dopo le rovine della guerra.
La progettazione del singolo edificio è adesso vista come integrata nel progetto della città. In tal senso si impongono ancora all’attenzione alcune progettazioni di Le Corbusier che vedeva come possibile soluzione alla caoticità delle città la realizzazione di contesti abitativi formati da Unité d’Habitation, che potessero assolvere autonomamente ad alcune delle funzioni proprie di una città, di tipo tradizionale. Le sue Unité, costituivano una sorta di unità costruttiva con servizi integrati di carattere urbano, una esatta dimensione era pensata per tutti i servizi comuni. Sul tetto delle singole Unité erano impiantati un asilo per i bambini e delle palestre, mentre all’interno, a metà dell’altezza dell’edificio, negozi, una postazione per un medico, la lavanderia, ecc… Le Unité avrebbero così consentito di usufruire di servizi comodi ed essenziali, lasciando lo spazio per potere impiantare vaste aree verdi. Una Unità di Abitazione, progettata da Le Corbusier, fu realizzata a Marsiglia nel 1952. Conteneva 337 abitazioni di diverso tipo ed aveva una lunghezza di ben 135 mt. Le Corbusier vi applica il suo Modulor, il sistema di proporzioni che assumendo come dato medio una altezza di 1,75 mt., al corpo di un uomo, consentiva di ridurre a 2,26 mt. l’altezza della singola abitazione.
Ma le Unité che erano state ideate per contrastare a suo dire la “follia della casa unifamiliare”, simbolo di un abitare collettivo, baluardo contro l’isolamento abitativo, non ebbero la diffusione sperata. In realtà si trattava di una trasformazione del concetto stesso dell’abitare, che non riuscì a radicarsi in nessuna città europea. Dopo la morte dei grandi protagonisti del Movimento Moderno il problema fu quello di guardare all’eredità di questi grandi maestri nella loro giusta dimensione, per non incorrere in una dilagante banalizzazione dei loro messaggi. In molti casi purtroppo, complici le diverse situazioni socio-economiche e culturali dei diversi paesi nei quali furono applicati i canoni del M. Moderno, si giunse ad un progressivo impoverimento del linguaggio architettonico utilizzato da quelle progettazioni che si dicevano raccogliere la lezione dei grandi maestri.
Ne conseguì una forte reazione, che diede il via ad una serie di movimenti di pensiero ostili verso tutti i canoni propri del funzionalismo. Si può affermare che la mostra organizzata da Ph. Johnson al Museum of modern art di New York, nel 1932, dal titolo International style, sia uno degli elementi posti all’origine del fenomeno di revisione critica del linguaggio razionalista. Ciò perché, tale mostra, organizzata per evidenziare la sostanziale unità di intenti dei linguaggi del razionalismo e del neoplasticismo in Europa, banalizzava sostanzialmente in termini di contenuto i risultati del dibattito europeo riducendo tutto a delle formule, adattabili alle varie situazioni, come fossero elementi di facile consumo.
I principi dell’International Style, a detta degli organizzatori, erano classificabili in alcuni semplici termini, come ad es.: – l’architettura viene concepita come volume e non come massa; alla simmetria assiale viene sostituito il concetto di organizzazione come lo strumento più importante per dare chiarezza al progetto; – Si condanna ogni decorazione arbitraria. Presto nacquero delle reazioni che vedevano in questa banalizzazione il futuro diffuso impoverimento nella progettazione architettonica.
In questo contesto, già critico nei confronti di una certa errata applicazione dei principi del razionalismo, si progettò Brasilia.
– Del Brasile in quegli anni si parlava come di un paese pronto a raggiungere il benessere di uno stato industriale. Dal 1957 crea la sua capitale, Brasilia, che situò in una parte interna del paese e scarsamente popolata, soltanto perché era il centro geografico dello Stato. Brasilia, la cui pianificazione si deve essenzialmente agli architetti Oscar Niemeyer e Lucio Costa, nasce come quindi una città nuova. In una città di nuova fondazione, che svincolava i progettisti dal confronto con la storia, i canoni del razionalismo applicati in modo freddo ed anonimo.
Ciò contribuì a generare una città priva di quella vitalità che è propria delle città. Tuttavia vi si tenta un conferimento di significato attraverso un recupero del “simbolo” che si tradusse nel tracciato che, pur innestandosi su di una maglia regolare, assume la forma di un volo di un uccello nell’atto di dispiegare le sue grandi ali. Nel 1964 si conclude la costruzione del palazzo del Congresso, di O. Niemeyer, che presenta l’edificio del Congresso, con una sala a forma di cratere per la camera dei deputati, il Senato con una sala cupolata, che lasciano esibire all’esterno la loro forma. Tra le due forme il grattacielo per gli uffici dei deputati spicca con la sua accentuata verticalità. La Piazza denominata dei tre poteri, è destinata unificare il contesto. La disposizione simmetrica su di un asse lungo ben 6 Km sul quale poi si innestano il Palazzo del Governo e della Cultura conferisce una spiccata monumentalità. Questa caratteristica ha finito con il rappresentare soprattutto le esigenze della classe dominante, e cioè quelle di volere accentuare l’elemento “rappresentativo” dell’architettura.