Donato Bramante
(FERMIGNANO, 1444 – ROMA, 11 APRILE 1514)
La formazione di Bramante avviene in corrispondenza con quel fervido clima culturale che animava la corte di Federico da Montefeltro. Determinante per il successivo sviluppo della personalità bramantesca sarà poi il contatto con la Milano di Ludovico il Moro, dove l’artista acquisisce quegli strumenti concettuali che lo porteranno ad una svolta in senso architettonico.
È proprio a Milano infatti che Donato, nel 1480 realizza la sua prima importante opera architettonica. Si tratta della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano. Qui concepisce anche il famoso “finto coro prospettico” che mira ad illudere l’osservatore attraverso un espediente altamente fantasioso tanto da confermarlo geniale inventore di soluzioni, oltre che eccellente architetto.
Sulla parete di fondo, dietro l’altare maggiore, realizza infatti, ricorrendo ad un illusionistico stucco e alla pittura, uno spazio finto, che simula una profondità che all’occhio del visitatore appare del tutto reale.
Il suo amore per la pittura lo conduce nel 1490 a realizzare il famoso “Cristo alla colonna” oggi conservato alla Pinacoteca di Brera. Questo dipinto rende manifeste le alte qualità pittoriche di Bramante, che pare tuttavia concepire le forme bidimensionali con un occhio alla resa tridimensionale del corpo, conferendovi una consistenza statuaria.
Alla fine del ‘400 inizia l’importante esperienza romana del Bramante, ed inizia proprio in corrispondenza con quella caduta di Ludovico il Moro, che lo convince a lasciare la sua Milano. A Roma, la città dei Papi, riceve una commissione importante: il tempietto di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo, nel luogo in cui la tradizione vuole si sia svolto il martirio di San Pietro.
Il tema del tempio a pianta centrale, in senso rinascimentale, viene portato a perfetto compimento. Il riferimento scelto da Bramante è il cosiddetto “Martyria” del periodo paleocristiano. L’architetto progetta una sacello a forma cilindrica, elevato su un podio di tre gradoni, circondato da un peribolo. L’insieme è poi sormontato da una cupola semisferica posta su di un alto tamburo. Sebbene il tempietto costituisca una pietra miliare nell’ambito del Rinascimento, il nome di Bramante a Roma è maggiormente legato alla “fabbrica di San Pietro”, la cui pianta doveva essere adeguata alle nuove esigenze della Chiesa di Roma. La nuova Chiesa doveva sorgere in corrispondenza di una antica Chiesa paleocristiana, così importante da essere assurta per molto tempo a modello per l’edificazione di molte altre chiese a croce latina. Quando nei primi del ‘500 Papa Giulio della Rovere aveva deciso di incaricare del progetto Bramante, l’architetto sentì di certo il peso di una simile responsabilità, e decise di dedicare tutto il suo tempo al progetto di San Pietro.
Agli “Uffizi” di Firenze si conserva il cosiddetto “piano di pergamena” del 1505, che mostra il progetto bramantesco, che in questa forma tuttavia non venne accettato. Bramante aveva proposto un edificio imponente, a pianta centrale, con una calotta su di un alto tamburo, circondata da quattro cupole più piccole. Successivamente lo stesso Bramante accantonò il progetto della pianta centrale, che era ritenuto troppo ardimentoso, per formulare un progetto che tenesse conto di uno spazio longitudinale. Nel 1513, con Leone X, dopo un periodo di stasi, Bramante riprende il progetto e ipotizza una maestosa pianta longitudinale a croce latina. Nel 1514 l’artista muore, lasciando definitivamente ad altri il compito di occuparsi di uno dei più importanti progetti architettonici della storia dell’umanità.
L’architettura di Bramante nel Rinascimento dimostra che l’uomo del tempo poteva risvegliare veramente quello spirito classico che animava le permanenze architettoniche di Roma, trovando nel confronto derivante dallo studio, il giusto modo di competere con le testimonianze del passato.