Zaha Hadid, armonia e contrasto
Zaha Hadid, la prima donna che ha avuto l’onore di accedere nel 2004, ad uno dei premi più autorevoli dell’architettura, il Pritzker Prize, è stata capace di tradurre l’immaginazione in immagine, e l’immagine in architettura. Ha cercato un modo, che le consentisse di rappresentare le sue idee, e l’ha trovato. Ha inseguito un principio, quello della fluidità, ed è riuscita ad applicarlo. Ha portato avanti il concetto che l’architettura deve poter essere capace di “infondere piacere” e ha lavorato per questo. Ma soprattutto, Zaha Hadid, esprime nelle sue opere la ricerca di un nuovo modo di accostarsi al progetto, sia che si tratti di edifici, di luoghi pubblici o di città.
La sua personale, innovativa ricerca ruota intorno alle possibili modalità che consentano di rappresentare in architettura, la complessità e il dinamismo dell’epoca attuale. Ama per questo utilizzare approcci progettuali diversi da quelli tradizionali. Considera infatti disegno e pittura come strumenti efficaci che le consentono di indagare nella maniera più completa i vari aspetti del progetto. Dai suoi disegni, dai suoi quadri, l’opera diviene prima un elemento scultoreo, poi architettura. Da questo procedimento generativo emerge un’opera non riconducibile a nessuna specifica tipologia architettonica di tipo tradizionale. Hadid infatti sostiene che è ora che si consideri che forma e funzione non debbano necessariamente essere messi in relazione fra loro. Si può infatti accettare una loro interdipendenza, come pure si può far sì che siano elementi del tutto indipendenti fra loro. Analogamente, si può concepire lo spazio interno come del tutto scollegato da quello esterno.
Il fatto che le parti dell’edificio, possono essere accostate senza necessariamente dovere trovare il modo di dialogare, costituisce un primo, forte elemento di originalità del linguaggio di Hadid. Tuttavia le sue progettazioni sembrano sempre ritrovare un modo, che va al di là dei modi tradizionali, di relazionarsi al contesto; un modo, assolutamente unico.
Altro concetto, innovativo, ma se vogliamo anche arcaico, è proprio quello di “fluidità”. Esso riguarda gli spazi, sia nei modi di relazionarsi tra loro, che nei modi di entrare in rapporto con le dinamiche cui oggi sono sempre maggiormente soggetti. Gli spazi acquistano così un nuovo senso di instabilità, che può contemporaneamente “mettere in moto” in modo fluido le componenti di cui è fatto, e gli elementi da cui trae senso. Lo spazio infatti, deve tener conto delle nuove complessità della società contemporanea. I materiali per realizzare le strutture capaci di generare tali spazi, sono cemento, acciaio, vetro e tutto ciò che può essere utile alla definizione di forme, che possano contribuire a dare consistenza all’immaginazione.
Quello che interessa ad Hadid infatti, oltre alle necessarie qualità di resistenza, autoportanza e ecocompatibilità dei materiali, è la loro capacità di essere flessibili, per piegarsi a qualsiasi richiesta di trasformazione. I materiali inoltre devono essere anche dotati di tutti i livelli possibili di trasparenza, opacità e colore per dare libertà alla fantasia.
Ma attenzione, il linguaggio di Hadid, deriva dalla fantasia, ma non esclude il rigore. Studia minuziosamente l’organizzazione delle planimetrie dei suoi edifici, tutti caratterizzati da forme dinamiche o da spazi dilatati, che paradossalmente appaiono quasi “monumentali”, pur ponendosi rispetto al concetto di “monumento”, in totale antitesi.
La pianta deve essere “fluida”, e la sua frammentazione non deve tuttavia tralasciare l’applicazione di quei criteri che derivano da un calcolo sapiente. Nello stesso tempo però le sue architetture inseguono forme volutamente “espressive”. Tuttavia il fine più sublime dell’architettura, e cioè quello che a detta della stessa Hadid deve essere di “infondere piacere”, non deve essere interpretato mai come un voler cercare, necessariamente, qualità di equilibrio o di armonia.
Brevi cenni biografici
Zaha Hadid nata a Baghdad, in Iraq, nel 1950, rappresenta una delle maggiori personalità artistiche che l’attuale panorama architettonico ci offre. Studia a Beirut, poi a Londra. Nel 1971 frequenta il master in matematica pura, presso l’Università americana di Beirut e, dal 1972 al 1977 all’Architectural Association di Londra. Membro dell’OMA, l’Office for Metropolitan Architecture, insieme a Rem Koolhaas ed Elia Zenghelis insegna, all’Architectural Association in un periodo che va dal dal 1980 al 1987.
Divenuta cittadina britannica, vive e lavora a Londra. Viaggia spesso in Italia, specialmente a Roma. Tiene conferenze in tutto il mondo e, nel 1994 ha avuto modo di ricoprire alla Graduate School of Design dell’Università di Harvard, la stessa cattedra appartenuta a Kenzo Tange. Affascinata inizialmente dalle opere di Mies van der Rohe ma anche dalle forme espresse nell’ambito del costruttivismo russo, da cui trae ancora elementi di ispirazione, si è imposta già in giovane età tra gli architetti che, all’inizio degli anni settanta, si sono qualificati tra i meno convenzionali. Ha immediatamente guardato al paesaggio e al territorio urbano, che sono divenuti oggetto di studio nell’ambito delle sue progettazioni. Successivamente si è avviata verso l’elaborazione di un linguaggio proprio, che è stato inquadrato nell’ambito del Decostruttivismo.
Il suo approccio originalissimo all’architettura le permette di vincere nel 1983, il concorso per il progetto del club “The Peak”, a Hong Kong. Da qui avrà inizio una straordinaria carriera ancora oggi in continua ascesa. Nel 1986, vince il concorso per il Kurfurstendamm a Berlino e tre anni dopo, per un Centro d’arte e di Comunicazione a Düsseldorf. Nel 1979, la progettazione di un appartamento a Eaton Place, a Londra, le fa vincere quello che è considerato il massimo riconoscimento di Architectural Design. Alcune famose esposizioni, come quella dei suoi quadri e disegni svoltesi presso l’Architectural Association nel 1983, e presso la GA Gallery a Tokyo nel 1985, hanno fatto conoscere Hadid ad un più numeroso pubblico, che ha avuto modo di apprezzare le sue opere.
Hadid, dal 1990, ha ricevuto numerosi incarichi, tra i quali ricordiamo: il Padiglione a Groningen; il bar ristorante Moonsoon a Sapporo in Giappone del 1990; l’allestimento dell’esposizione “The Great Utopia” presso il Guggenheim Museum a New York nel 1992. Realizza l’edificio per pompieri della Vitra Museum nel 1993, a Weil am Rheim, in Germania, che è inclusa tra le opere più indicative della corrente del decostruttivismo. Vince il concorso internazionale per la Cardiff Opera House nel 1994. Nel 1997 viene insignita della Sullivan Chair, presso la School Of Architecture della University Of Chicago.
Nel 1998 con il Lois & Richard Rosenthal Center for Contemporary Art, a Cincinnati in Ohio si impone su progettisti come Daniel Libeskind e Bernard Tschumi. Qui Zaha Hadid usa il vetro stratificato per realizzare la facciata traslucida. Quest’opera mira alla valorizzazione sia delle opere esposte, che del concetto stesso dell’arte in generale. Seguendo il principio che il museo non deve essere un luogo statico, ma capace di evolversi con le evoluzioni stesse dell’arte, concepisce uno spazio espositivo che possa facilmente accogliere le installazioni di arte contemporanea, dotandolo di particolari qualità che esaltano le esigenze di partecipazione del pubblico. Per questo le pareti sono mobili, per consentire un uso flessibile di tutti gli ambienti. Le pareti per il fronte principale sono vetrate, e, una grande rampa, ideata per accedere ai piani superiori, viene contrapposta ad un’altra, che porta ai piani inferiori e che sembra quasi comparire da un taglio del pavimento.
Questi ed altri elementi giocano effetti di trasparenza e movimento che contribuiscono a dare il senso della fluidità degli spazi che sembrano compenetrarsi reciprocamente. Dal tetto dell’atrio, si possono percepire visivamente le gallerie superiori. Dall’esterno, le gallerie dei piani superiori sembrano quasi emergere dal blocco di cemento, e fluttuare grazie alle loro grandi superfici in vetro stratificato.
Nel 2000 è la volta del padiglione della “Mind Zone” al Millenium Dome, di Londra e di alcuni progetti in Italia, come quello a Salerno del “Maritime Terminal”, con il quale il porto di Salerno vuole qualificare si come uno dei più importanti scali crocieristici del Sud Italia; quello del progetto per la Nuova Stazione Alta Velocità Napoli – Afragola, dove Zaha Hadid è stata prescelta da una giuria presieduta dall’architetto Bohigas.
Altro interessante progetto è la fabbrica della BMW di Lipsia in Germania: il nuovo stabilimento della BMW. Qui Zaha Hadid, progetta l’edificio centrale, una struttura apparentemente leggerissima, quasi trasparente, atta a mettere in relazione le diverse aree produttive dello stabilimento. È stata sapientemente esaudita nel progetto, la richiesta della committenza di permettere l’osservazione dei vari procedimenti di produzione. L’opera risponde ai criteri di funzionalità richiesti, ma si spinge oltre raggiungendo livelli di comunicazione che riportano il senso del movimento all’interno dello spazio centrale che diventa elemento catalizzante e al contempo distributivo. I flussi e le connessioni sono attuate all’interno grazie ad una serie di intrecci di volumi dalla forma curvilinea, e ad un contatto anche visivo tra i vari addetti alla produzione e gli impiegati degli uffici reso possibile dall’utilizzo di elementi divisori in vetro, che tuttavia garantiscono l’isolamento acustico.
Nel 2001 è la volta del Guggenheim Foundation di Tokyo, della Placa de las Artes, a Barcellona e dell’Ordrupgaard Museum Extension, di Copenhagen. In quest’ultimo progetto richiesto nel 2001 dal Ministero della Cultura danese, che voleva ampliare il museo Ordrupgaard e migliorare le condizioni di conservazione delle opere, si doveva tener conto di uno spazio limitato; il vetro viene adoperato largamente per dare un senso di ampiezza e per mettere in relazione la struttura al paesaggio. L’intervento di Hadid ha permesso di raddoppiare la superficie degli spazi del museo e adesso la struttura si estende su 1150 metri quadrati. Al nuovo ingresso del museo si perviene attraversando una corte che separa il nuovo edificio da quello precedente, che ospita la Galleria Francese. Una rampa inclinata divide gli spazi espositivi della collezione permanente da quelli della collezione temporanea, e conduce alla sala principale e al Cafè.
Una delle progettazioni più recenti, insieme allo “Ski-jump” di Innsbruck, (un nuovo trampolino da lancio per gare di salto con gli sci sul Monte Bergisel, inaugurato nel settembre 2002), ed il 3rd Bridge Crossing, di Abu-Dhabi, è il progetto per la creazione del Centro nazionale per le arti e l’architettura contemporanee a Roma al quartiere Flaminio. Hadid, infatti è risultata vincitrice del concorso del 1999 per la trasformazione delle ex Caserme Montello, al quartiere Flaminio, in Museo d’Arte Contemporanea, il MAXXI. Il progetto, prevede la realizzazione del il MAXXI arte e del MAXXI architettura, che condivideranno tutti i vari spazi per le attività culturali, spazi per le esposizioni temporanee, eventi dal vivo, l’auditorium, gli spazi per la sperimentazione e le attività commerciali come il bookshop, i ristoranti e le caffetterie.
Frutto di un concorso internazionale del 1998, che ha tra i finalisti, alcuni importanti esponenti del mondo dell’architettura come Jean Nouvel, Rem Koolhaas, Steven Holl, Italo Rota e Kazuyo Sejima, per dirne alcuni. Per il MAXXI, Hadid, oltre a materiali innovativi e una forma originalissima, ha utilizzato tutti i possibili mezzi di alta tecnologia costruttiva per creare un vero polo culturale di livello internazionale. I volumi proposti sembrano quasi intrecciarsi tra loro. Lo sviluppo è orizzontale, e si oppone agli edifici circostanti che hanno invece uno sviluppo in verticale. Lo spazio gioca con il concetto di interno/esterno e consente di inserire degli spazi per la libera circolazione del pubblico. Il fruitore si trova coinvolto all’interno di un un percorso di particolare fluidità ed immerso in un atmosfera permeata da una luce naturale, proveniente dall’alto, – il tetto infatti è in vetro.
Infine sempre a conferma del particolare rapporto che l’architetto anglo-iracheno ha con l’Italia citiamo la vincita del concorso internazionale di architettura Betile, promosso dalla Regione Sardegna, in collaborazione con Domus e il Politecnico di Milano, per la realizzazione del Museo Mediterraneo di Arte Nuragica e Contemporanea di Cagliari.
Infine, non si può non citare una delle più recenti attività che vede coinvolta Zaha Hadid nella realizzazione della nuova sede della “Architecture Foundation” di Londra. Sorgerà in un’area triangolare tra Southwark Street e Great Guildford Street, nel Bankside, lo spazio dedicato agli eventi comunicativi generalmente rivolti al pubblico. Hadid è anche in questo caso risultata vincitrice del concorso che ha visto un cospicuo numero di partecipanti. L’opera architettonica proposta, che si sviluppa su tre livelli, è come una imponente scultura che possiede una struttura in vetro trasparente che racchiude lo spazio espositivo. È dotata di una grande fascia di raccordo in calcestruzzo. Oltre agli spazi destinati alle esposizioni vi saranno zone adibite ai servizi, uffici ecc…Il principio è sempre quello: non realizzare strutture chiuse, ma spazi flessibili, capaci di inserire altre funzioni al loro interno assemblando i livelli di comunicazione in un unico intervento fluidificante, in stretta correlazione con l’ambiente circostante e le funzioni socio-culturali richieste.