Toyo Ito: quando la comunicazione è come la luce – La Mediateca di Sendai

Toyo Ito, nato a Seul nel 1941 e laureatosi a Tokyo nel 1965, dopo aver lavorato con K. Kikutake inizia una sua attività nel 1971 aprendo uno studio, l’Urban Robot, che in seguito si chiamerà “Toyo Ito e Associati”. Diviene insegnante in diverse università: europee, del Giappone e degli Stati Uniti. Partecipa a molte mostre internazionali come quella all’“Architectural Association” di Londra, quella al “Moca” di Los Angeles o della Biennale di Venezia. 
Inizialmente si occupa soprattutto di edilizia residenziale; una delle sue prime progettazioni, la “Casa d’Alluminio” a Fujisawashi, Kanagawa del 1970 lascia intuire la sua particolare propensione alla tecnologia e quella poetica della leggerezza, che successivamente caratterizzerà sempre più il suo personale operato. L’alluminio è un materiale che utilizzerà anche in seguito per la casa a Sakurajosui, a Tokyo del 1997.
Usa, Toyo Ito, in genere elementi prefabbricati e materiali che tendono a dare una sensazione di estrema trasparenza, di quasi totale apertura. Questa sorta di leggerezza emerge nelle sue architetture per via di un qualcosa che a lui appartiene per tradizione, che proviene dalla sua cultura.
Le sue ricerche si orientano sempre più con il tempo verso una sorta di volontà di liberazione dell’architettura dal peso della gravità. Acquisisce attraverso alcuni iniziali esperimenti una tendenza a risolvere i contrasti tra la forma e la pesantezza della struttura. Già dagli anni 1970-1980 struttura e rivestimento sono trattati in modo del tutto nuovo. Mira ad esaltare le valenze percettive dei materiali ed ama smaterializzare le forme, che appaiono così sempre più libere e anticonvenzionali. Anche gli impianti, negli edifici di Ito, tendono ad assumere configurazioni particolarmente originali.
L’attività di Ito pone in primo piano la ricerca di nuove relazioni tra l’involucro e la struttura per conferire una qualità percettiva di “mancanza di peso”. Ma i risultati ricercati trovano la condizione di riuscita attraverso un nuovo tipo di rapporto che l’architetto instaura con l’immediato spazio circostante.
L’apice della sua poetica architettonica sembra che Ito l’abbia raggiunto con la Mediateca di Sendai, (1995-2001). Sendai è una cittadina di provincia situata a nord di Tokyo. Qui, Ito sembra quasi voler mettere a nudo l’anima dell’edificio. Priva la struttura dell’involucro e la apre all’ambiente esterno mostrandone le trame interne come un bosco fitto di alberi sezionato oppure come uno di quegli esseri fluorescenti che vivono le profondità marine, e che lasciano trasparire di sé tutte le loro articolazioni vitali. Realizzata in sostituzione di una precedente biblioteca civica, costituisce un esempio dell’architettura contemporanea nell’era dell’informazione, simboleggiando quasi, le attuali tendenze appartenenti all’era della comunicazione globale. La luce naturale, filtrata dai vetri, penetra ovunque disegnando ombre che cambiano a seconda delle diverse ore del giorno. Essa conferisce quella qualità di annullamento degli elementi strutturali che conducono ad una sensazione di “sospensione” della intera struttura.  
La struttura nata per contenere una biblioteca, un auditorium una galleria d’arte, un caffè e addirittura un cinema, dalla sua comparsa è stata immediatamente accostata al centro Pompidou di Renzo Piano e R. Rogers o alla mediateca di Foster anche per la flessibilità funzionale degli spazi interni. I pavimenti, sono lastre d’acciaio incassate nel cemento e non lasciano percepire la loro presenza se non per un gioco di lastre sottili, la struttura verticale invece sembra simulare degli alberi. La struttura portante realizzata in tubi d’acciaio disposti a spirale, sembra voler contraddire le più elementari regole statiche. Invece, proprio perché l’edificio si trova in Giappone, è stato sottoposto a tutta una serie di regole contro gli effetti di devastanti terremoti, in quell’area possibili. La straordinarietà della Mediateca di Sendai sta nel suo essere profondamente appartenente alla cultura giapponese, ma nello stesso tempo espressione di una architettura che risponde ad una contemporanea esigenza di innovazione, che non ha confini. Un luogo destinato ad accogliere chi deve formare la sua mente e aprirla alle conoscenze che derivano anche dal contatto con l’esterno, non può essere chiusa, deve comunicare ed elevarsi a simbolo essa stressa della comunicazione.
Il tema dell’albero si ripropone spesso nelle opere di Toyo Ito.
Simbolo del contatto tra l’umano e il divino e dell’armonia fra l’uomo, l’anima e la natura, l’albero è presente anche in una delle progettazioni più recenti come il negozio Tod’s. La struttura, quando appare illuminata dall’interno la sera, sembra come uno spazio vuoto la cui inimmaginabile consistenza abbia limitato lo sviluppo delle piante o degli alberi che si avviluppano attorno ad essa per contrasto. L’effetto si realizza grazie ad una inaspettata complanarità tra vetro e parete in cemento. E se nella mediateca, gli alberi si rispecchiavano nella superficie e si ritrovavano poi all’interno dello spazio interno, qui sembra che l’albero avvolga e comprima quasi a volere, senza tuttavia potere, introdurre il suo significato altamente simbolico nell’ambito dell’effimero per eccellenza: il mondo della moda.
Dal 1990, alcuni importanti concorsi internazionali tra i quali quelli per l’ampliamento del MOMA di New York e per la realizzazione del MAXXI di Roma, lo hanno fatto conoscere ad un più vasto pubblico. Altre opere note di T.Ito sono: la “Torre dei Venti” a Yokohama del 1986, il Museo di Yatsushiro del 1991 e il noto “O Dome” a Odate del 1997.