Il Codice Piranesi
LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL PRIORATO A ROMA
Anno 1312. Viene soppresso l’ordine dei cavalieri Templari… Una piccola chiesa, sull’Aventino a Roma, appartenente ai Templari, diviene proprietà dei Cavalieri di Rodi, una confraternita religiosa originaria della Terra Santa, avente il compito di assistere e curare i pellegrini che si recavano in visita al Santo Sepolcro. Nel 1522 i Cavalieri di Rodi cambiano nome e divengono Sovrano Ordine di Malta. Nel 1765, la ristrutturazione della chiesetta, originariamente dedicata a San Basilio, viene affidata a Giovan Battista Piranesi, incisore, architetto, massimo cultore dell’antica Roma, tanto da essere stato raffigurato sulla sua sepoltura togato, come un antico romano. La chiesa prende il nome di Santa Maria del Priorato, in riferimento al Gran Priorato dei Cavalieri di Malta…
L’Aventino, detto anche Mons Serpentarius, era anticamente sede di culti legati a Iside e Mitra. Quando Piranesi riceve direttamente da Giovan Battista Rezzonico, Gran Priore di Malta, l’incarico della ristrutturazione della precedente struttura cinquecentesca, concepisce il progetto della chiesa quasi come un codice segreto, e la facciata diviene simile ad un testo ermetico, che solo pochi individui possono interpretare. Utilizza infatti un repertorio quanto mai vario, di elementi solo idealmente ricollegabili alla antichità, ma in realtà reinventati, in relazione ai significati simbolici da contenere. La decorazione della facciata, che conserva ancora alcuni elementi della precedente struttura, viene concepita in stucco. Un materiale che simula il più durevole marmo, ma essenzialmente effimero. Effimero come tutto ciò che gli uomini realizzano nel tempo. Tutto riconduce ad una meditazione sul tempo, e gli elementi, che inizialmente si compongono con assoluto rigore donando una sensazione di stabilità, successivamente, ad una osservazione più approfondita sembrano sfuggire alla nostra comprensione. Una metafora del tempo quindi, e delle azioni umane, percepibile dai più, ma più profondamente, interpretabile solamente da pochi.
La storia della chiesa può aiutare…. Originariamente era un monastero benedettino. Divenne successivamente monastero dei Templari, e dal 1312 dei Cavalieri di Rodi, la cui confraternita, come accennato, ebbe il ruolo di assistere e curare i pellegrini in Terra Santa. Ciò spiegherebbe ad esempio la presenza di due serpenti avvolti a spirale in facciata.
Ai lati del portale di ingresso, si trova una sequenza di simboli simmetrici che sembrano rispettare un preciso ordine di lettura. Troviamo infatti due candelabri, che assumono chiari riferimenti di tipo religioso, gli strumenti del muratore, che rimandano a simboli inerenti la massoneria, una targa recante la scritta FERT, che indica: Fortitudo Eius Rodum Tenuit in riferimento alla difesa di Rodi da parte dei Cavalieri di Malta e il monogramma PX, simbolo di pace. In ultimo le due mezzelune incatenate, la torre riferimento araldico dei Rezzonico e la Croce di Malta. Quale sia il messaggio che reca tale sequenza non è facile da decodificare. Ma sicuramente si percepisce che esiste e che lega tra loro una serie di individui, contesti, eventi. L’oculo centrale, già presente nella chiesa preesistente, è stato reinterpretato come centro di un antico sarcofago, decorato in un modo che ricorda la maniera utilizzata dagli antichi romani.
Le maniglie sono simulate a forma di serpenti.
Il ruolo di sacello funerario della chiesa, è probabilmente palesato da questo riferimento al sarcofago. Un fastigio militare decora il timpano. Tutti i riferimenti alla classicità sono reinterpretati in chiave simbolica. I capitelli delle paraste recano sfingi affrontate con al centro una torre, elemento presente nello stemma della famiglia Rezzonico. Gli elementi sono tuttavia composti in modo da dare l’idea di appartenere al mondo antico, (tanto da fare spesso interpretare l’opera nell’ambito del gusto neoclassico), mentre sono totalmente nuovi. Il semplice accostamento di motivi classici, per l’autore, avrebbe di sicuro banalizzato l’opera architettonica, riducendola ad una sterile elencazione di elementi già noti. Piranesi invece sfugge, come la sua unica opera architettonica, ad una precisa collocazione all’interno di un periodo o di una corrente artistica. È più incisore o architetto? È un artista già neoclassico o è ancora profondamente partecipe dell’ultimo spirito barocco nella ricchezza della decorazione e nell’illusorio verticalismo conferito alla struttura? Forse piuttosto è un eccezionale narratore, che ha utilizzato più linguaggi per rivelarsi magistrale interprete di storie passate, vivificate in pagine inusuali di arte visiva.