Architettura contemporanea in Cina
Cina e architettura. Architettura contemporanea e inedite possibilità di sviluppo del dibattito architettonico, in un paese che si rivela d’enorme stimolo creativo, oltre che scenario possibile in relazione alle innovazioni, inaugurate dalle aperture economiche avutesi già dai primi anni ‘80. Paese che convoglia interessi economici rilevanti in molti campi, in relazione alle opportunità che offre agli investitori europei. Per ciò che riguarda l’architettura, ci si rende conto che si possono ottenere degli alti livelli qualitativi delle costruzioni grazie al basso costo- se paragonato al tipo di investimento- in termini di materiali e manodopera.
La recente acquisizione da parte della Cina di moderne tecnologie nel settore della lavorazione del vetro o dell’acciaio, oltre che della pietra, ha aperto vie di utilizzo di tali materiali che altrove sarebbero troppo onerose nell’ambito delle realizzazioni architettoniche. Il possibile uso di questi materiali costosi, unitamente alla possibilità offerta dal mercato produttivo cinese di componenti anche non standardizzate, contribuisce a creare le condizioni favorevoli per una offerta architettonica di qualità.
Si osservano ora, dall’Europa, oltre alle immense possibilità di materiale intervento nel Paese, le capacità culturali e tecniche acquisite dagli architetti cinesi. Alcuni di essi si sono formati proprio in Europa, tramite iniziative come quella promossa dai francesi (vedi quella dell’Institut francais d’Architecture -“Programme des 150 architectes chinois en France”), che hanno contribuito in parte, alla creazione di nuove generazioni degli architetti influenzati dagli studi d’architettura internazionali stabiliti in Cina o dalle opere da essi realizzate (Da citare a tal proposito la presenza in Cina della Gregotti Associati, o la Fox & Fowle che ha realizzato alcuni edifici commerciali ed anche Paul Andrei e John Portman).
Uno scenario architettonico quindi, che qui più che altrove, si intreccia con contenuti di tipo socio-economico scaturiti dalle nuove dinamiche relazionali tra Oriente e Occidente. Sotto il punto di vista dei contenuti, vi è senza dubbio una contrapposizione, quella tra il linguaggio tradizionale e quello della contemporaneità, che mira a volersi risolvere nelle sintesi ricercate, ed a volte operate, dalle nuove generazioni di architetti cinesi. Alcune figure emergono dal panorama generale rivelandosi protagoniste di questo “passaggio”: sono l’architetto cinese Wang Lu, che ha progettato il museo di Piantai; lo studio MAD di Pechino, che ha conquistato il primo posto, al concorso internazionale per l’Absolute Towers -Marilyn Monroe Tower 2006- a Toronto in Canada, e ancora Yung Ho Chang, Liu Jakun e Zhang Lei.
Yung Ho Chang ad esempio è una delle figure più emblematiche di questa generazione. Nato nel 1956, questo architetto di Pechino si muove fra passato e futuro giocando con le componenti naturali e artificiali offerte dalla tecnica e non trascurando mai la tradizione seppure arricchendosi dei linguaggi della contemporaneità. C’è da dire però che mentre alcuni architetti come Yung Ho Chang, non mirano semplicemente a mantenere uno stile tradizionale, ma ad interloquire con anche con le caratteristiche dell’architettura occidentale, rinnovandosi in una continua operazione di contaminazione di forme e contenuti, altri manifestano un rapporto irrisolto tra la tradizione architettonica cinese e le influenze straniere.
Del resto, dal dato di partenza che vedeva in un passato ancora piuttosto recente una attività edificatoria perlopiù realizzata dai maestri artigiani costruttori di opere edificate secondo le antiche tradizioni architettoniche e portatrice di sistemi basati su strutture in legno, attenti alla armonia di insieme si è passati in brevissimo tempo a numerose realizzazioni appartenenti ad un linguaggio architettonico contemporaneo, spesso anche incurante di agganci con il contesto.
La sfida dunque, è nei termini della qualità. Gli architetti in grado di elevare il livello qualitativo in termini di contenuti non mancano. E, se è vero che si sta facendo strada una coscienza nuova, -la Cina ad es. ha dimostrato di voler perseguire politiche di sviluppo sostenibile varando un piano di riduzione di consumo energetico – fatta di rispetto dell’ambiente, delle identità locali, dalla qualità degli interventi sia a livello territoriale che architettonico, il risultato non potrà essere che positivo.
Intanto, due importanti appuntamenti: le Olimpiadi di Pechino del 2008, e la World Expo 2010 di Shanghai daranno un notevole impulso alla produzione di opere architettoniche e a carattere urbanistico. Shanghai nata sul delta del fiume Yangtze, avrà una incredibile occasione di sviluppo. L’evento porterà alla città che conta già più di dodici milioni di abitanti, una trasformazione imponente. Si tratta forse del maggiore processo di trasformazione urbana di questi ultimi anni, che interesserà ben 5,5 kmq.
Affidato alla Tongji University di Shanghai e, nello specifico, allo studio Six dell’Urban Planning and design Institute della Tongji, si prevede che in seguito all’evento, le installazioni, padiglioni e in genere le opere che per esso saranno realizzate, saranno destinate ad essere riconvertite con funzioni di carattere commerciale e direzionale. Questo al fine di assorbire quel ruolo di polo di attrazione proprio di zone della città che sono giunte alla saturazione, avendo ormai esaurito ogni ulteriore possibilità di espansione. In tal modo si raggiungerà un duplice oltre a quello di assolvere al compito per cui devono essere costruite, e cioè: decongestionare quelle parti di città divenute troppo caotiche; e costituire una stabile risorsa per il nuovo polo che si genererà.
La ricaduta dell’operazione in termini economici è evidente, in termini culturali e simbolici rappresenta forse la parte meno visibile, ma sicuramente molto apprezzabile. Shanghai saprà accogliere anche questa opportunità? C’è da aspettarselo se si osservano alcuni dati, come quello che ha visto proprio a Shanghai la realizzazione di circa 9000 edifici a torre con più di 30 piani, negli ultimi 10 anni. La città annovera parecchi interventi noti come il Jin Mao Tower il terzo grattacielo più alto al mondo, progettato dagli americani Skidmore, Owings e Merrill (SOM), l’Eastern-view Garden development, Well House di MADA s.p.a.m., il Pudong Museum di Von Gerkan e Marg und Partners, la Shanghai Information Town di Arquitectonica, Shanghai Great Wall Tower Di Bregman+Hamann, il Plaza 66 di Kohn Pederson Fox, il College of Architectural and Urban Planing della Tongji University, l’Oriental Art Centre di Paul Andreu e il Museum of Science and Technology di RTKL.
A questo punto c’è da riflettere su quale delle seguenti opere, o quale delle future avrà una tale forza evocativa da diventare il simbolo della nuova realtà urbana. Si parla già del grattacielo progettato da Kohn, Pedersen & Fox, che si realizzerà nella distretto del Pudong e che è stato pensato come l’edificio più alto del mondo.