Herzog e de Meuron: architetture permeabili ed unitarietà del molteplice
Le opere dei due architetti svizzeri Herzog e de Meuron, sembrano essere orientate al sovvertimento dei principi del concetto stesso di “involucro” in architettura. I rivestimenti in realtà non esistono… o sono semplici gabbie da cui si vedono pietre, o leggerissime pelli, o sono costituiti dalla struttura stessa, che è portata all’esterno e con la sua forma genera solo il senso dell’involucro. Le architetture si propongono quindi in una sorta di “non-finito”, che apre ad infinite possibilità di interpretazione del concetto di “permeabilità”. Così, lo stadio delle Olimpiadi 2008 a Pechino, in Cina, presenta la forma circolare e schiacciata di un nido: esibendo una struttura che ricorda gli intrecci prodigiosi operati dagli uccelli, si riferisce alla forma più arcaica di contenitore. Uno stadio, che pur nella ostentazione tecnologica, tenta il recupero di una relazione ancestrale tra l’uomo e la natura. Non è la prima volta che i due architetti concepiscono una architettura al limite, al confine tra le forme e l’universo informe delle perfette articolazioni naturali.
Nel loro progetto della Dominus Winery, (1995-1998- Yountville, a Napa Valley, in California), riportano un insieme di pietre ingabbiate. L’edificio, pur essendo un unico volume compatto di 100 mt. di lunghezza, 25 di profondità e 9 di altezza, si inserisce perfettamente nel paesaggio grazie ad un’audace progettazione dell’esterno. Presenta infatti sassi di diversa dimensione e forma, che si accostano l’uno sull’altro all’interno di un reticolo metallico e simulano (più che formare), il paramento murario. Una preventivata possibilità di variare la quantità delle pietre all’interno delle singole gabbie consente inoltre di differenziare lo spessore del muro. Ne viene fuori una soluzione architettonica particolarmente permeabile alla ventilazione e all’illuminazione esterna.
La Dominus Winery sembra riportare, con le sue pietre ingabbiate, l’una diversa dall’altra, il concetto di molteplicità ad un criterio di unitarietà. Qui, infatti, la moltitudine di pietre è riportata a costituire un’unica dimensione di blocco.
Lo stesso concetto di moltitudine sfugge dalle trame dello stadio concepito per le Olimpiadi 2008 in Cina.
Un progetto risultato vincitore del concorso internazionale bandito nel 2002, forse proprio grazie al coraggio visionario della soluzione proposta. Completamente richiudibile, questa struttura, presenta una “maglia” esterna che non è stata pensata per essere involucro, poiché fa parte della struttura stessa dello stadio. La trama proposta ospita infatti le scale e supporta gli elementi in metallo che, incontrandosi ed intrecciandosi, si sostengono a vicenda. Naturalmente dietro questa forma irregolare si nasconde una complessità strutturale direttamente proporzionale alla fantasia: i numerosi punti di raccordo degli elementi formanti intrecci sono stati sottoposti a dei precisi calcoli strutturali. Consideriamo che si tratta di una struttura che potrà contenere fino a 91.000 posti a sedere e che tale contenuto è principalmente un carico dinamico. Il materiale è il cemento. Tra un “ramoscello” e l’altro del nido, vi sono una serie di ammortizzatori gonfiabili. Mentre nella parte anulare della copertura è utilizzato uno strato traslucido che protegge dagli agenti atmosferici e da un secondo strato che assicura l’isolamento acustico, in zona centrale, il tetto diventa come una membrana trasparente, che permette alla luce di filtrare. Anche la copertura quindi non è concepita in termini di involucro, ma è la membrana stessa che è tetto.La nuova struttura del Museo M. H. de Young Memorial di San Francisco è un edificio destinato a contenere opere artistiche di varia provenienza. Il principio seguito dai progettisti, era quello di voler esprimere in che modo si potesse veicolare il concetto di unitarietà pur nella compresenza di opere provenienti da aree culturali diverse. Herzog e de Meuron hanno ideato tre fasce parallele, tra le quali si potesse insinuare un parco destinato ad accogliere spazi tra gli elementi costruiti, spazi che, interagendo, potessero concettualmente unire gli spazi tra loro. Le ricerche di comunicazione tra le parti, che non risultano quindi mai accostate ma relazionate, costituiscono la base fondativi del messaggio che vuole esprimere che, pur colloquiando tra loro, le arti, hanno comunque la capacità di conservare una propria identità culturale. La torre costituisce, di tutto l’insieme, l’elemento più riconoscibile e di maggior impatto nel panorama urbano. Concepita come organismo aperto alla comunicazione con l’esterno, appare voler interloquire direttamente con l’intorno. Ospita una terrazza dalla quale si può godere della vista sul parco e sulla città. Anche qui il tema dell’involucro esterno è affrontato in modo anticonvenzionale: troviamo una sorta di pellicola che sembra inserita al solo scopo di catturare la luce e relazionare la torre con gli spazi circostanti. Non un elemento separatore dunque, ma un qualcosa di integrante e interagente.Infine, la biblioteca di Cottbus, in Germania presso Berlino, che è stata denominata dagli stessi progettisti “l’ameba” (che sappiamo essere un genere di protozoi con protoplasma che cambiano la propria forma avviando processi citoplasmatici attraverso cui si muovono e si nutrono…), è un Centro per l’informazione, la comunicazione e i media. Si eleva su una collina artificiale nel centro cittadino, di fronte all’edificio sede centrale dell’Università, di cui la biblioteca stessa fa parte. L’edificio di sette piani -di cui due sotterranei-, si erge fino all’altezza di trentadue metri. Contiene 900 mila libri e dispone di 600 postazioni di lavoro multimediali. All’interno, una lunga scala a chiocciola collega le varie parti dell’edificio che sono, oltre alla biblioteca, una sezione dedicata alla multimedialità e i locali dell’amministrazione. Alcune zone sono state individuate attraverso l’uso di diversi colori. Il blu e il rosso acceso, il magenta, il verde e infine il giallo, si susseguono in una sorta di alternanza di colori complementari quasi a voler stimolare le capacità percettive degli utenti. Nelle sale di lettura invece predomina il colore grigio; questo infatti è il regno del pensare e, il grigio, si pone quasi come un richiamo alla materia grigia. Al secondo e al terzo piano pareti mobili di vetro, mettono in relazione gli utenti con il paesaggio circostante. Anche qui tutto l’organismo è concepito all’insegna della massima permeabilità. All’esterno si offre come un edificio privo di angoli e spigoli, ma ricco di curve e movimento che, proprio come una ameba, sembra cambiare la propria forma in relazione alle diverse angolazioni di osservazione. Il vetro, unico materiale che poteva far assumere alla struttura l’effetto voluto, conferisce un aspetto cangiante ed in perfetta sintonia con i processi citoplasmatici di una ameba. Tutto l’edificio muta di aspetto in relazione al clima e ai colori che via via il cielo assume. La cura di alcuni particolari, come quello che ha condotto a inserire sulle ampie aperture delle pareti esterne migliaia di caratteri dell’alfabeto di linguaggi antichi e moderni, vogliono riportare sul piano della metafora la permanenza del concetto unitario della cultura al di là della presenza della molteplicità dei linguaggi conosciuti.
Brevi cenni biografici
Jacques Herzog e Pierre de Meuron nascono a Basilea nel 1950. Nel 1975 ottengono la laurea in architettura presso la Eidgenössische Tecnische Hochschule e, nel 1978, aprono a Basilea lo studio Herzog & de Meuron Architecture. Negli anni 1989-1998 sono professori presso le Università di Harvard, a Cambridge, nel Massachussetts e, nel 1991, presso la Tulane University di New Orleans. Nel 2001 ottengono il Pritzker Architecture Prize per la New Modern Tate Gallery di Londra.
La loro attività professionale vede la realizzazione di numerosi progetti come: nel 1984-85 la Casa in compensato, a Bottmingen, in Svizzera; nel 1984-88 l’edificio per abitazioni, a Hebelstrasse, a Basilea e nel 1985-88 l’edificio per abitazioni e uffici Schwitter. Nel 1986-91 si occupano dell’ampliamento della fabbrica Ricola, a Laufen, in Svizzera. Nel 1989-92 progettano la Galleria d’arte Goets di Monaco di Baviera, e l’ampliamento della Ricola Factory e Glazed Canopy, Laufen. Nel 1995-97 è la volta dell’Azienda Vinicola Dominus, la citata Dominus Winery Napa Valley, a Yountville, in California, -una cantina per la conservazione di botti e barriques, ed una parte per uffici-.
Nel 1995-99 il Tate Modern, a Londra. Nel 1997-98 l’Institut fur Spitalpharmazie, a Basilea, e nello stesso anno la Library of the Eberswalde Technical School, a Eberswalde, in Germania. Del 1997-99 è il Küppersmühle Museum – Grothe Collection, Duisburg, e del 1999 la Cabina di segnalazione, a Basilea. Dal 2000 realizzano la Roche Pharma Research Institute Building 92 / Building 41, a Basilea; l’Edificio a destinazione commerciale e residenziale, a Solothurn, in Svizzera; gli Edifici residenziali a Parigi, e il Negozio Prada, di Tokyo. Le ultime opere sono il Forum Building, di Barcellona, l’Ampliamento della Aargauer Kunsthaus, ad Aargau; il CaixaForum di Madrid, e il citato Stadio Olimpico per Pechino 2008.