L’artista di Willendorf
Circa 25.000 anni a.C., un insolito “artista” scolpisce la “Venere” di Willendorf (esposta al museo di storia naturale di Vienna). Una scultura di appena 11 cm., in pietra calcarea, che contiene già tutta la complessità di un’opera d’arte nelle sue componenti simboliche e concettuali. Il viso della “Venere” è infatti occultato da una sorta di “casco” di capelli, realizzato grazie ad una fitta decorazione detta “a conchiglie”.
Il fatto che non vi sia alcuna traccia dei lineamenti del volto, ci spingerebbe a considerare il fatto che chi ha deciso di scolpire quella figura femminile, fosse già pienamente consapevole di stare costruendo un simbolo: il simbolo della donna nelle sue qualità di madre. Infatti il ventre e il seno particolarmente accentuati ci condurrebbero immediatamente ad una simile lettura, anche se, è in quel casco di capelli che noi dovremmo maggiormente concentrare la nostra attenzione. Non rappresentare il volto significherebbe infatti il non volere conferire alcuna identità alla donna, che, nello specifico diventerebbe il simbolo di tutte le donne, madri o compagne che siano, dell’uomo del paleolitico.
Certamente questo deve portarci ad accettare che l’uomo del paleolitico dovesse possedere già a quell’epoca una capacità di astrazione propria alle comunità già più evolute. Dissociare infatti l’idea generale dalla rappresentazione del particolare è una operazione concettuale certamente complessa. Sarebbe infatti più facile ipotizzare che quel casco di capelli fosse davvero la rappresentazione un reale copricapo, che veniva fatto indossare alle donne in una qualche pratica di tipo rituale magari connessa al colore rosso, di cui la statuetta era dipinta. Oppure un attributo simile ad una corona, che in quel caso potrebbe alimentare altre ipotesi, come quella che doveva trattarsi di una “personalità” degna di rispetto e considerazione, se non una vera e propria reggente o capo spirituale dell’intero villaggio.
Il fatto che alcuni studiosi siano portati a considerare queste piccole sculture come degli oggetti di carattere propiziatorio, (oggetti che, opportunamente utilizzati nell’ambito di rituali di tipo magico, sarebbero serviti a propiziare la fertilità del terreno o della donna) non contrasterebbe con questa ultima ipotesi. La funzione di protettrice poteva alimentarsi della diffusione della sua immagine in maniera non dissimile a quanto è accaduto in molte alte società, anche ben più evolute.
In realtà nulla ancora di certo si può dedurre da questa statuetta che rimane per certi versi ancora un mistero. Tuttavia è lecito presumere che, chi decise di realizzare con piccole dimensioni la scultura, lo fece con l’intento di poterla agevolmente spostare, condurla con sé o utilizzarla. Un oggetto totemico forse, al quale conferire proprietà magiche oppure solamente un mezzo per render onore alla figura femminile, essendo le comunità del paleolitico già consapevoli della magia insita nella procreazione. Tutto ciò purtroppo resta nel campo delle ipotesi, ma guardando la Venere di Willendorf è possibile chiedersi: e se a scolpirla fosse stata una donna?