Lo schiavo morente
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Nel 1512 Michelangelo riprese il progetto della Tomba di Giulio II. Concepì in questo contesto la statua dello “schiavo morente” che doveva essere una delle figure di prigionieri, detti “Prigioni”, destinati circondare la Tomba di Giulio II. Volle fermare l’attimo in cui la vita abbandona il corpo, in cui l’uomo si lascia andare, smettendo di lottare. Emerge qui il non finito michelangiolesco che vuole sottolineare la lotta tra la materia e l’idea e che qui si prefigura come una metafora del contrasto tra la vita e la morte.
Alla morte di Giulio II il nuovo Papa chiederà a Michelangelo di realizzare, a Firenze, la Sagrestia Nuova (così chiamata per distinguerla da quella di Brunelleschi, la Sagrestia Vecchia) Progetterà anche la Biblioteca e la Tomba dei Medici con le note statue che simboleggiano il Giorno e la Notte, e il Crepuscolo e l’Aurora.
La Sagrestia nuova riprende gli stessi materiali della Sagrestia vecchia. Sono quelli della tradizione fiorentina e cioè la pietra serena grigia per le membrature architettoniche e l’intonaco bianco per le pareti. Tuttavia, anche se similmente alla Sagrestia vecchia, la Nuova presenta una pianta composta da due quadrati adiacenti di diverse dimensioni, gli spazi che ne derivano appartengono ad una concezione diversa. Essi sono coperti da cupole su pennacchi; cinque anelli concentrici di lacunari caratterizzano l’intradosso della cupola emisferica più grande. La continuità verticale è interrotta dal fregio del primo ordine che continua lungo le pareti ed è di semplice intonaco. Questo rende lo spazio come suddiviso in due parti, una inferiore ed una superiore che sembra fluttuare in aria non essendo l’appoggio ben visibile. All’esterno il rivestimento della cupola simula delle squame di pesce. La lanterna, che sormonta la cupola, presenta delle colonnine composite trabeate, interrotte da superfici vetrate. Rispetto alla Sagrestia vecchia Michelangelo altera le proporzioni che vengono come allungate in altezza grazie ad un attico che si pone tra l’ordine inferiore e le lunette sottostanti la cupola. Tale effetto è ulteriormente amplificato grazie alle finestre che ricava nelle lunette, che accentuano la spinta verso l’alto. Afferma Argan: “Per il Brunelleschi le pareti erano puri piani, sezioni ideali dello spazio prospettico; per Michelangelo sono le barriere che separano lo spazio intellettuale dallo spazio naturale, la morte dalla vita.
( …)Le strutture scure non sono più pure scritture geometriche sul piano, come nella sagrestia vecchia, ma formano un forte telaio plastico; le finestre murate e le porte si incastrano a forza in quel telaio(…) il significato e il valore della composizione è proprio nel conflitto di queste due realtà, la natura e lo spirito”. Per la Sagrestia nuova erano previsti dei sepolcri di cui solo due vennero realizzati: quelli di Lorenzo Duca di Urbino e quello di Giuliano Duca di Nemours. Sui sarcofagi coperti da coperchi ellittici si trovano le allegorie del Giorno e della Notte – per la tomba di Giuliano- e del Crepuscolo e l’Aurora- per la tomba di Lorenzo.
La scultura che rappresenta “Il Giorno” mostra delle parti volutamente lasciate in abbozzo da Michelangelo. Anche qui emerge la poetica del “non finito”, che l’artista propose in perfetta armonia con il tema della morte. Argan ha scritto a proposito del “Giorno”: “sono scabre alcune parti delle figure, per esempio il volto del Giorno, perché la sostanza del tempo è ambigua, da un lato domina il destino dei mortali, dall’altro è l’eternità stessa. Perciò il non-finito invade a tratti, per frammenti le forme, in altre parti levigate fino ad essere specchianti: è come una scorza terrena da cui le figure non si sono ancora totalmente liberate”.