Nuova oggettività tedesca
La Germania degli anni ’20 rivela nel mondo artistico atteggiamenti vari, che risentivano delle provocazioni Dada e della corrente espressionista. Nuova Oggettività voleva essere un’arte realista, che non partiva dall’osservazione del reale visibile ma dalla spietata considerazione delle cose come sono, in realtà.
I protagonisti furono Otto Dix e George Grosz, due pittori che erano animati dalla comune volontà di rendere le cose oggettivamente, e di attuare una sorta di denuncia e avvalendosi di un modo di descrivere tutto in modo diretto e crudo. Il “Ritratto della giornalista Sylvia von Harden” del 1926, di O. Dix è emblematico in tal senso.
Qui la tendenza alla grottesca deformazione di derivazione espressionista non risparmia la donna ritratta, che viene presentata in tutta la banalità di una esibizione di stereotipi di una conquistata indipendenza. La sigaretta fra le dita, il monocolo e gli occhi segnati, l’abito corto, la bevanda che si appresta a consumare al tavolo di un bar, i capelli corti e il rossetto forte e scuro, tutto concorre a voler mostrare questo status.
Tuttavia il pennello dell’artista non manca di indugiare sul particolare di una calza mal raccolta che appare dall’abito corto. Anche Grosz non manca di essere graffiante… uno dei dipinti più noti è “Le colonne della Società”, dove vengono rappresentati nella loro tetra ottusità quelli che sono comunemente considerati gli esponenti più importanti della società del tempo: i militari, i rappresentanti del mondo dell’economia, la borghesia.
I simboli del potere insomma, che viene osservato in tutti gli aspetti negativi e grotteschi, con la testa scoperchiata dalla quale emergono simbolicamente rappresentati da sterco e immagini caotiche di guerra, i loro modi di ragionare. Nel 1933 Grosz ovviamente dovette fuggire e la sua arte venne dichiarata, insieme a quella di molti altri, Arte Degenerata, dal regime Nazista.