Piergiorgio Branzi
In Branzi fotografo la passione nasce dal contatto folgorante avuto con le foto di Cartier-Bresson nel 1953, quando avrà modo di entrare in contatto con le opere dell’artista in una mostra svoltasi a Firenze. In seguito saranno quei viaggi compiuti “intorno all’uomo” nei primi anni ’50, in motocicletta verso l’Abruzzo, il Molise, la Lucania, la Calabria, Napoli, ma anche verso le zone depresse del Veneto e poi in Spagna, in Andalusia ed in Grecia a decretarne l’indirizzo.
Egli perviene ad un linguaggio personale in cui l’immagine definitiva è il prodotto di riflessione, aggiustamenti di tono, tagli in camera oscura, rigorosi bilanciamenti. Nelle sue prime fotografie, come in quelle della produzione più recente, pone la figura come all’interno di cornici, rappresentate da stipiti di porte, davanzali di finestre, o da sedie usate come piedistalli. Se dai suoi viaggi intorno all’uomo vennero fuori immagini come maschere di un’ umanità tragica e misera, dopo tale esperienza con ironia e con tragica delicatezza cercherà nella fotografia, qualcosa che sia esprimibile come una specie di tensione, di sospensione, un segno d’inquietudine, senza la meraviglia e la curiosità provate nell’incontro con l’umanità arcaica, e quasi mitica del sud.
Le sue foto tra il letterario e il surreale, lo porteranno a partecipare all’esperienza editoriale del Mondo di Panunzio, dove mostrerà la società di massa che si andava profilando in quel periodo, sottolineandone noia e ‘incomunicabilità, solitudine e narcisismo. Il formalismo emergerà invece dai comportamenti e l’ambiguità delle espressioni, ma anche l’ingenuità e la timidezza nel la meraviglia della neve a Firenze. Tra il 1962 ed il 1966, fu corrispondente della RAI nell’allora Unione Sovietica e a Parigi corrispondente RAI durante il Maggio del ’68.
Nel “Diario Moscovita”, spontaneo reportage in cui scene di vita rappresentano tributo nostalgico per un popolo osservato con partecipe sincerità e si vedono i quartieri nuovi, il museo della rivoluzione, il monastero dei vecchi credenti, il negozio d’antiquariato su l’Arbat, la lezione di valzer, l’Università Lomonosov. Per ripercorrere insieme alle strade parigine di St. Germain des Près, le sue origini artistiche nel luogo dove un giorno incontrò per la prima volta Henri Cartier-Bresson, dopo che negli anni settanta ed ottanta si è dedicato all’incisione ed alla pittura, Branzi ha ripreso in mano la sua macchina fotografica. Ora fra i tavolini delle brasserie e le vetrine delle gallerie d’arte, coglie un’umanità che, si confonde col suo doppio, riflessa da superfici specchianti.