Walker Evans

Riscoprire oggi le immagini di W.Evans significa riportare la fotografia alle sue radici, riavvicinarla all’umile quanto immenso scopo di documentare e rendere testimonianza. Significa tentare di ricondurre l’immagine fotografica nell’ambito della rappresentazione del reale, in un tempo come quello di oggi che esalta il virtuale e riduce la fotografia a semplice riflesso di ipotetiche realtà, sempre confutabili. Il tempo della crisi inoltre, porta alla ribalta il fotografo che meglio di ogni altro seppe fornire una immagine della grande crisi americana del 1930.
Evans riprese i volti stralunati dei più poveri, mostrando le condizioni di miseria in cui piombarono molte famiglie in quel periodo. Aprì uno squarcio sulle condizioni dei lavoratori, delle case che abitavano e delle scuole che frequentavano. Evans infatti fece parte di quel ristretto numero di fotografi che vennero incaricati, in seguito alla grande depressione americana relativa al ’29, di documentare le misere condizioni in cui versavano le famiglie nelle immense campagne statunitensi. Si trattava di quel prestigioso staff chiamato FSA, (Farm Security Administration) istituito nel ’37 come centro di committenza fotografica, che trattava una fotografia documentaria che tenesse conto dell’importanza di guardare alla società rivelandone gli aspetti più veri, gli spaccati di vita quotidiana. Negli Stati Uniti degli anni ’30, fu proprio la FSA a promuovere iniziative di reportage sulla Grande depressione.
Nato nel 1903 a Saint Louis in Missouri, Evans si spostò per un periodo a Parigi, dopo avere ricevuto una formazione negli Stati Uniti nel prestigioso Williams College del Massachusetts. A Parigi ebbe modo di conoscere da vicino il lavoro di Atget e di sentire il fascino delle immagini di Nadar. Successivamente elesse New York come sede definitiva. Dopo alcuni tentativi, andati a vuoto, di farsi conoscere come scrittore, decise di comunicare attraverso le immagini invece che con le parole. Era il 1930. Uno dei suoi lavori più noti risale al 1933, ed è ancora oggi noto come il reportage sulla dittatura di Machado a Cuba. In quel periodo a New York era famosa l’opera di Alfred Stieglitz. Evans non apprezzava il particolare taglio dell’opera di Stieglitz, che riteneva troppo concentrato sugli aspetti artistici. Evans era convinto che il compito del fotografo fosse principalmente quello di descrivere la vita vera e non di offrirne una visione diversa, eccessivamente mediata dalla visione soggettiva dell’autore.
Dopo l’esperienza FSA, Evans divenne collaboratore del Times e poi passò alla redazione di Fortune. Di Evans, tra le altre qualità, si celebra la straordinaria capacità di dominare il bianco e nero. Possedeva una macchina di grande formato, una Folding 20 x 25, che gli consentiva una messa a fuoco di ogni particolare. Con questa macchina ha condotto la sua ricerca, sempre volta a cogliere quella invisibile linea di margine tra città e campagna che oggi costituisce uno dei temi di maggiore rilevanza in ambito di pianificazione territoriale. Nel 1965 decise di cessare l’attività pubblica di fotografo, e cominciò a insegnare Arti Grafiche presso la Yale University di New York. Morirà dieci anni dopo a New Haven, in Connecticut.